Della formazione il problema
Sto molto riflettendo su quanto performance di efficacia ed efficienza incidano sul benessere e se nella formazione manageriale non ci sia un sotteso manipolatorio di modellazione comportamentale da riconsiderare alla luce degli accadimenti che ci investono nel nuovo mondo del lavoro (post-covid più evidente, ma già in atto da decenni e visibile ancora di più nelle giovani generazioni).
I percorsi che sto avviando per i nuovi gruppi di leader e in individualizzata partono da questa considerazione, che il lavoro non deve aprioristicamente associarsi alla propria felicità, alla propria realizzazione.
Il tempo per alcuni sta assumendo una nuova dimensione o, quanto meno, vi è una nuova percezione. Al lavoro dobbiamo soffermarci su aspetti diversi rispetto alla funzionalità o strumentalizzazione degli obiettivi d'impresa che non siano solo di produttività. Prendendo maggiore coscienza da parte del management della responsabilità e dell'impatto sulla salute non solo del lavoratore, ma anche della comunità. E non è che l'organizzazione si deve fare carico dell'intera persona, ma anzi, quasi il contrario!
E non dico neanche non si stia facendo o che gli interventi (di wellfare e di sicurezza sul posto di lavoro) siano inutili, anzi, ma che si dovrebbe aprire un dibattito sull'attuale e futura formazione ed educazione degli adulti e dei giovani. Ad esempio: questa esasperante ricerca di avvicinare il mondo del lavoro alla scuola sulla stragrande maggioranza dei casi, sul corpo docente e di riflesso su studenti e studentesse, non mi pare stia portando ad una nuova stagione di benessere. Tutt'altro. Spesso mi ritrovo in aule dove è presente l'aspettativa "devi scegliere e programmare il tuo percorso lavorativo e professionale se vuoi raggiungere la felicità, se vuoi essere a posto" che genera frustrazione ed ansia. Le priorità sono altre, non è il lavoro o il trovare la realizzazione di sé nel lavoro, non di certo durante l'adolescenza!
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Forse parte anche dall'idea di cosa sia un futuro migliore. La sostenibilità, l'ecologia, sono concetti che ci dovrebbero chiarire il fatto che la produttività, non è più un paradigma di una buona organizzazione. Eppure efficacia ed efficienza spingono a massimizzare, a togliere quegli spazi di rallentamento, di pausa, di stacco, di vuoto, necessari al benessere.
Credo che troppe cose della formazione (e dei coaching e delle consulenze) siano ambigue, o perlomeno nel suo marketing. Successo e massima produttività, grossi guadagni e tutti felici. Ma chi ci crede ancora? E le piccole e medie imprese sono quelle che investono di più in formazione, e la gran parte delle imprese in Italia sono piccole e medie imprese. Che problemi ha la formazione? è una questione di analisi? è che la formazione la fanno quelli alla base dei processi e poca quella che stanno sopra? Chiaro, la formazione non è la bacchetta magica delle soluzioni. Ma l'unica possibilità è davvero continuare a vendere il sogno della perfetta collaborazione, del coinvolgimento e di una comunicazione chiara quale antidoto al malessere organizzativo? Perché ogni tanto a me pare che si vendano più degli standard, dei modelli a cui tendere che non prendono davvero considerazione del contesto e che generano aspettative irreali.
Forse è da spostarsi dal Qui ed Ora ad un recupero di visione del futuro. Qualcuno una volta si è domandato se il lavoro ha a che fare con la felicità. Io non credo che si possa rispondere univocamente dire di sì. C'è anche il no e va accolto, va bene anche così, lo si deve fare per la realtà presente. E basta parlarmi dell'operaio della Nutella o dello Spazzino che si sente far parte del progetto di miglioramento mondiale. Non è così e non deve essere così per tutti. Bisogna lavorare di inclusione, accettando anche chi ha motivazioni e anche chi non ne ha. La considerazione della motivazione non nasce dal bisogno di benessere, ma di tenere la gente sul posto di lavoro, diminuire quindi i costi per l'azienda in caso di turn-over e per avere una maggiore produttività da parte della risorsa. Anziché cercare di impacchettare l'individuo dentro il lavoro, con la pretesa di allenare le soft-skills, creiamo luoghi di lavoro in cui si sta bene e basta. Cosa crea innanzitutto lo stare bene al lavoro (e su questo ancora sono completamente in linea con l'attuale formazione)? Non ho una soluzione, ma per la mia parte credo ancora che le relazioni siano uno dei fulcri, ma da tenere lontani da una considerazione funzionale e strumentale all'organizzazione. Già questo credo debba cambiare il lessico della formazione e vorrei tanto riuscire a trovare un luogo dove dialogare di questo.
Sono in ricerca e mi auguro di trovare altri pronti al dubbio, all'interrogarsi. Oso e spero di non essere punito.