Diversity & Inclusion: tra realtà e autenticità
Esattamente un mese fa, il 10 maggio, Business Insider aveva riportato la notizia per cui Antonio García Martínez era entrato a far parte del team di Apple dedicato all’advertising per App Store e Apple News. Fin qui tutto bene, no?
García Martínez ha un buon curriculum: arriva in Apple da un’esperienza come product manager in Facebook (citando dal suo LinkedIn “Facebook's first ads targeting product manager, responsible for all ads targeting”), aveva lavorato in Goldman Sachs e Twitter, e aveva fondato una piattaforma – AdGrok – che consentiva di automatizzare il processo di scelta delle keyword su Google AdWords (poi venduta a Twitter). Insomma, un ingegnere che con le adv sembrerebbe saperci fare, ma che forse avrebbe dovuto lavorare di più sul suo personal branding.
Due giorni dopo, il 12 maggio, circa 2000 dipendenti di Apple hanno scritto una lettera e firmato una petizione per chiedere un’indagine sulla sua assunzione. Infatti García Martínez nel 2016 aveva scritto un libro autobiografico, Chaos Monkeys: Obscene Fortune and Random Failure in Silicon Valley, pubblicato da HarperCollins, in cui non mancano considerazioni misogine, omofobe e razziste. Ne cito giusto una a titolo esemplificativo:
«Most women in the Bay Area are soft and weak, cosseted and naive despite their claims of worldliness, and generally full of shit. They have their self-regarding entitlement feminism, and ceaselessly vaunt their independence, but the reality is, come the epidemic plague or foreign invasion, they’d become precisely the sort of useless baggage you’d trade for a box of shotgun shells or a jerry can of diesel».
Da sempre Apple si è impegnata su temi legati alla Diversity & Inclusion, dalle campagne come Open ai report annuali avviati nel 2014, fino alle partnership con più organizzazioni come Girls Who Code (che ha l’obiettivo di chiudere il gender gap nelle aree STEM). Perciò lavoratori e lavoratrici si sono chieste come sia possibile che in fase di selezione Apple non abbia notato questi aspetti, dato che Chaos Monkeys non è un libro qualsiasi, ma è stato anche inserito tra i best seller del 2016, al quarto posto, dal NY Times. E García Martínez ha commentato dicendo che Apple era ben a conoscenza di ciò che aveva scritto.
Il 13 maggio Apple ha dichiarato che García Martínez non era più un dipendente dell’azienda, dicendo che «in Apple, abbiamo sempre cercato di creare un ambiente di lavoro inclusivo e accogliente in cui tutti siano rispettati e accettati. Un comportamento che umilia o discrimina le persone per quello che sono non ha posto qui». Dictum factum.
L’episodio in questione, uno fra tanti, mi ha fatto ragionare sul ruolo delle persone.
Sono queste che hanno chiesto un cambiamento, andando a sopperire alle mancanze dell’azienda. E Apple ha ascoltato ciò che avevano da dire in merito. È ovvio che in questa “accondiscendente presa di posizione” c’è anche da considerare l’impatto dell’opinione pubblica sui social, dove si riesce a innescare una gogna mediatica (breve, ma intensa) a cui i brand devono spesso sottostare per posizionamento.
Una volta che si proclama a gran voce un impegno – e spesso lo si fa a fini di marketing – bisogna essere pronti a rispondere a chi quella voce l’ha sentita.
Nell’ultimo anno sempre più brand hanno focalizzato l’attenzione su tematiche di carattere sociale, anche perché se guardiamo al report del Diversity Brand Index, ad oggi l’88% della popolazione è maggiormente propensa verso brand più inclusivi (o almeno che vengono percepiti come tali).
Il 3 giugno in Google si è ripetuta una storia simile a quella di Antonio García Martínez: il Diversity Strategy and Research Director Kamau Bobb è stato rimosso dal suo incarico (e assegnato a un’altra area) dopo che 80 dipendenti hanno sottoscritto una mail in cui si riportavano considerazioni antisemite fatte da Bobb.
Quindi no, non è che se sei un uomo nero sei in automatico un difensore delle minoranze, e lo stesso discorso si riapplica anche nella falsa idea per cui una maggior rappresentanza femminile porterà a una società più equa.
Allo stesso tempo c’è da sottolineare come quei commenti siano stati pubblicati su un blog nel 2007, e un dipendente ha fatto notare come questo lavoro archeologico sembrasse un po’ una caccia alle streghe.
In conclusione credo sia necessario un ripensamento concreto e un’analisi più attenta dei termini in cui si parla di Diversity&Inclusion.
In primis applicando una visione ampia e libera da stereotipi e schemi pregressi, che tenga a mente più fattori come l’età, la nazionalità, l’etnia, il genere (identità ed espressione), l’orientamento sessuale, le abilità fisiche, lo status socio-economico, o anche il credo politico e religioso.
In secondo luogo rendendo concrete le dichiarazioni fatte al grande pubblico, senza sbandierare un’inclusività che in realtà ancora scricchiola, per dimostrare la propria autenticità.
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3 anni“Riconosci e Amplifica” mi sembra uno splendido motto.
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3 anniGabriella Crafa Francesca Vecchioni Diversity [diversitylab.it]