Giocare con i bambini, rigenera lo spirito..
La mia amicizia col pallone e i campi da calcio risale molto indietro nel tempo. Iniziò in un piccolo paese della campagna romana tanti anni fa. Provenivo da una grande città dove era difficile conoscere la vera libertà che ti può dare il gioco del calcio a meno di non voler diventare uno dei tanti ragazzi di strada. Là infatti era tutto programmato e ordinato: la scuola, gli allenamenti di pallacanestro in determinati giorni e orari precisi e poi a casa per i compiti di scuola, qualche passeggiata per le affollate vie del centro, molta televisione e questo era più o meno tutto. Non conoscevo certo i ritorni a casa sudato fradicio, con le scarpe rotte in punta, magari sporco di polvere o di fango, le sistematiche sgridate dei genitori.
Li invece fu tutto diverso. Fra noi ragazzi ci costruimmo un intero mondo fatto di calcio. Si giocava all’uscita della scuola, si giocava di pomeriggio, di sabato, di domenica, insomma ogni momento era buono per fare una partita. Costruivamo le porte con gli zaini pieni di libri e qualche maglione fissando i limiti del campo con delle linee immaginarie. Spesso le partite erano costellate di bisticciate, qualche pestaggio per gol fantasma, per calci di punizione veri o immaginari o per rimesse laterali negate. E quando non giocavamo erano discussioni interminabili sulle partite delle grandi squadre, sui loro campioni con scambi delle famose figurine Panini. Quell’amicizia con il calcio divenne col tempo amore prima e vera passione poi. Diventai juventino e da quel giorno giocai solo con la maglia bianconera. Riuscii a convincere mio padre a regalarmi il subbuteo, un morbido panno verde, grande come il tavolo da pranzo, su cui era disegnato un piccolo campo da calcio. Col tempo lo attrezzai di porte, comprando con la paghetta piccoli giocatori di plastica dritti su delle semisfere che scivolavano veloci sul campo. Con una piccola palla di plastica bianca spostavamo quei giocatori per tutto il campo cercando di portarli davanti alla porta avversaria e fare il gol ad un portiere mosso da sinistra a destra da un leva. Ore intere, anzi giornate intere sopra quel panno verde rubando allo studio tutto il tempo possibile e anche più del possibile. La letteratura italiana, la storia, la matematica potevano anche aspettare, ma non i tornei di subbuteo con gli amici e i compagni di scuola. Diventai un vero campione e un ricercato radiocronista dal momento che imitavo perfettamente la voce di Martellini e di Ameri, le storiche voci di “Tutto il calcio minuto per minuto”.
Quando diventai un po’ più grande il mondo del calcio si dilatò a dismisura. Non solo le ore di educazione fisica e quelle delle assenze dei professori vennero dedicate al pallone, ma trovammo affaristi privati che facevano soldi a palate col “calcetto”. Eravamo ormai ragazzi di terza liceo e la raccolta di soldi per la partita quasi quotidiana divenne la nostra occupazione principale. Il calcetto non solo scaricava la nostra esuberanza fisica; ci permetteva di giocare al calcio anche di notte.
Finite le scuole arrivò però il tempo del lavoro. Improvvisamente cambiò tutto. Fu come se un intero mondo fosse scomparso all’improvviso, finito in soffitta insieme al pallone e alle scarpe da calcio. Fui costretto a diventare di punto in bianco da sportivo un tifoso passivo. Sì, riuscivo ancora a fare di rado qualche partitella serale con gli amici e colleghi, che condividevano con me la stessa mia crisi di identità. Il tempo delle responsabilità era proprio arrivato: le varie esperienze lavorative, la famiglia, i figli, le preoccupazioni economiche. Un malaugurato incidente provvide poi a tenermi lontano per sempre anche da quelle occasionali partite e ad allontanarmi ancora di più da quella che era stata la mia passione giovanile.
Chi legge potrà immaginare la mia gioia quando da adulto, soddisfatto di svolgere un lavoro gratificante, la vita mi ha offerto l’occasione di allenare nel tempo libero dei bambini, di insegnare loro i rudimenti del gioco del calcio. La proposta di Diego mi ha lasciato sul momento perplesso, ma il pensiero di poter riversare finalmente su di loro un’esperienza coltivata per anni per uno sport vero, ha dissolto ogni dubbio. Ho accettato e oggi, dopo vari mesi di questo impegno, l’entusiasmo iniziale è più che raddoppiato e non tanto per la soddisfazione di vederli crescere tecnicamente nel tenere la palla, nel tirarla , nel passarla ad un compagno, quanto per quello che apprendono insieme al calcio: lealtà, onestà, altruismo, spirito di sacrificio, lavoro di SQUADRA. Col passare dei mesi quegli incontri con dei bambini sono diventati una vera scuola di vita per loro, ma soprattutto per me. Sono io che riscopro insieme a loro, oltre all'odore dell'erba calpestata il significato vero di quei valori in un momento in cui lo sport, come la maggior parte delle professioni e dei lavori ci parlano di guadagni illeciti, di soprusi, di violenze, di truffe e di reati di ogni genere. Quegli incontri con i bambini sono anche per me una palestra di rigenerazione, di gioia di vivere provata solo correndo in mezzo a un campo dietro ad una palla. So soltanto che ogni giorno torno al mio lavoro con più energie di prima, un po’ come se fossi nato una seconda volta, convinto che l’essenza della vita non è solo nello status sociale raggiunto, né nel grado di benessere acquisito.
È proprio vero che la vita può restituirti con gli interessi ciò di cui sembrava averti malignamente privato.
HR Business Partner presso Würth Italia
9 anniSe stessi con un vestito bianco a un matrimonio e arrivasse un pallone infangato, lo stopperei di petto senza pensarci.... Questa frase di Diego Armando Maradona sintetizza magnificamente la nostra profonda incapacità di separarci dal bambino che è' in noi! È' un piacere condividere le esperienze di chi si è' ricongiunto con quella spontaneità . Bella testimonianza Fabio.
GMP Manufacturing & Quality Assurance Manager presso InnovaVector
9 anniBella Fabio, mi sono rivisto in quelle parole, ed il ricordo è andato ovviamente alle partite giocate insieme, i vari tornei al Kennedy che ricorderai...anche io non posso più giocare e non ho la possibilità tua di allenare ma penso sia una grande cosa mettere al servizio dei bambini la tua esperienza e crescere insieme. Good Luck per la tua squadra :-)
Leadership, Processes & Operations | Developing Talent
9 anniGrande Fabio Rezzoagli Some guys are lucky enough to get to a top level in professional football; some others like you are not only great professionals, they also devote their free time to help children understanding the values of life, sports and working as a team! Great Job!