Intervista a Giampaolo Grossi
Nei giorni scorsi Fabiola ha avuto il piacere di chiacchierare con Giampaolo Grossi.
Ex-calciatore professionista, Giampaolo parte come barman dai locali della Versilia e si trasferisce a New York, dove muove i primi passi nel mondo della ristorazione.
Una lunga gavetta che lo porta dagli Stati Uniti al Kuwait, poi in Florida e infine a Milano, prima come General Manager della pasticceria Marchesi-Prada e poi della roastery di Starbucks.
Giampaolo è diventato un top manager della ristorazione e vanta un percorso di crescita professionale di successo che può essere fonte di ispirazione per le nuove generazioni.
Quei giovani candidati che sembrano essere sempre più disinteressati al mondo dell'hospitality.
In Joboutique ogni giorno notiamo quanto sia diventata complicata la ricerca del personale nel mondo della ristorazione, nonostante si parli di ristoranti stellati.
Abbiamo deciso quindi di confrontarci con Giampaolo per avere il suo punto di vista e qualche suggerimento per gli imprenditori che devono far fronte a questa crisi.
A New York sei arrivato a lavorare 7 giorni su 7. Barman, cameriere e assistente... Hai fatto di tutto, un jolly! Ma dove volevi arrivare?
Ho accettato tutti i ruoli che mi venivano proposti perché li vedevo come opportunità. Ho sempre pensato che l'impegno porta risultati.
E ho gestito le cose con la giusta attitudine mentale, quella che ti permette di avere l'atteggiamento corretto per raggiungere i tuoi obiettivi.
Il mio era quello di fare un'esperienza all'estero che mi permettesse di imparare, specializzarmi e raggiungere alti livelli nel settore.
E se quell'attitudine non ce l'hai...?
Puoi svilupparla, è questione di volontà! Io l'ho imparata con lo sport e con le scelte che ho fatto nella vita.
Prendiamo i candidati: l'attitudine corretta non è solamente ciò che dimostri sulla sedia durante il colloquio. È anche il mood con cui esci di casa, i vestiti che decidi di indossare ma anche come sei andato a letto la sera prima: se passi la nottata a fare bagordi, al colloquio non avrai sicuramente un viso rilassato.
In passato hai partecipato alle selezioni del personale della squadra che dovevi gestire. Secondo te, cos'è fondamentale nella scelta di una persona?
La capacità di cambiamento!
La forza di una persona è quella di riuscire a cambiare e adattarsi alle situazioni che la vita può portare.
Infatti, non credo si debba demonizzare, come spesso accade, chi presenta un CV con tante esperienze lavorative. Sarebbe interessante capire perché il candidato ha cambiato tanto, contestualizzare e approfondire la conoscenza della persona.
E, così come nel calcio, in questo settore è importante anche la capacità di "far squadra", lottare, perdere, vincere e avere un obiettivo comune.
Un punto di vista interessante. Forse gli imprenditori oggi danno più peso all'esperienza o alla provenienza e meno alla capacità di fare squadra...
Ai ragazzi suggerivo di prendere il contratto, chiuderlo nel cassetto e non fossilizzarsi sul ruolo per il quale venivano assunti.
Dicevo loro che dovevano sentirsi ambasciatori dell'azienda e, in quanto tali, avrebbero potuto vedere e sperimentare tutto: dal bar al servizio, dal retail all'accoglienza, dal magazzino alla gestione della cassa, dal complain agli eventi, ecc. Insomma, di cogliere l'opportunità che l'azienda dava loro: "vedere" il più possibile e poi scegliere quello che preferivano. E approfondire, studiare, specializzarsi.
Come vedi i giovani di oggi?
Così com'erano quelli della mia generazione: c'è chi vuole imparare un mestiere e c'è chi no.
La differenza però è che oggi ci sono internet e gli smartphone: l'aspetto positivo è che siamo sempre interconnessi e otteniamo qualsiasi informazione in tempo reale; il rovescio della medaglia è che passiamo troppe ore della giornata con la testa sullo schermo e questa cosa va a declinare le prestazioni sul lavoro.
Che livelli di turnover hai avuto in passato?
Nelle mie esperienze il livello di turnover è sempre stato bassissimo, inferiore al 2%.
Ho sempre stimolato le aziende ad investire negli stipendi sopra la media, riconoscere aumenti periodici, e lavorare per garantire benefit come le assicurazioni estese anche ai familiari.
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Quindi, è questa la soluzione per trattenere i dipendenti?
Non solo. Ero riuscito a ottenere per loro 2 giorni liberi consecutivi e soprattutto che ricevessero gli orari di lavoro con due mesi di anticipo.
In questo modo fidelizzi...
Cosa ne pensi degli alti tassi di turnover dei ristoranti italiani?
La realtà della ristorazione è difficile in Italia. Pranzo e cena sono spezzati mentre all'estero le cucine lavorano ininterrottamente permettendo così di fare due turni/squadre.
In Italia si può fare?
Molto complicato. In certe zone si: in Duomo, per esempio, può capitare di vedere dei turisti mangiare alle 4 del pomeriggio.
Ma questo capita solo nella zona centrale perché c'è un particolare bacino di clientela. Appena ti sposti, cambia.
Cosa spinge un candidato a entrare nel settore?
L'ispirazione: le persone cercano un progetto, un percorso nel quale trovare loro stessi, crescere ed evolversi.
La storia del ristorante, quello che c'è dietro, cosa fa, come lo fa e soprattutto come vengono gestiti i dipendenti.
E perché si parla di crisi del personale nella ristorazione?
Oggi vedo poco interesse nel conoscere i dipendenti e soprattutto poca volontà di coinvolgerli in un progetto. E questo viene percepito.
Molti imprenditori sembrano gestire le loro attività in maniera meccanica: manca la passione per l'accoglienza del cliente. È questa la capacità che fa la differenza in questo settore!
Ed è quello che dovrebbero, e vorrebbero, imparare le nuove leve.
Un imprenditore che vuole fare l'oste ma non è mai stato in sala non ne può sapere nulla!
Deve quindi cambiare l'imprenditore?
Si, ma anche chi dà supporto all'imprenditore.
Perché se hai un alto tasso di turnover, se la gente se ne va, dovresti farti qualche domanda...
Un imprenditore che intraprende un percorso in questo settore ha il dovere di insegnare e condividere informazioni. E se non gli riesce, deve assumere qualcuno capace che lo faccia per lui.
Rendersi conto di non saper fare qualcosa e delegare a qualcuno è il tassello fondamentale che porta un'azienda al successo.
Si tratta di uno stipendio in più, certo, ma si tratta di un investimento nel lungo periodo.
Vedi voglia nei giovani di approcciarsi al settore?
I giovani vogliono posti in cui possano essere coinvolti. I giovani hanno voglia di imparare ma quando c'è qualcuno capace di insegnare, che li coinvolga, che li ispiri.
A volte mi chiedono "ma tu come hai fatto ad arrivare fino a lì?": io racconto la mia storia. Mi dicono "è difficile!". Io confermo, è difficile, e ancora non ho fatto nulla. Ma dico anche che da qualche parte devono iniziare, devono provare, devono fare.
Cerco di orientarli a trovare l'ispirazione.
Numerosi gli spunti di riflessione.
Da un lato, emerge che i giovani candidati devono approcciarsi al settore con l'atteggiamento giusto, con lo studio, la preparazione, la curiosità e soprattutto con la voglia di fare esperienza.
Dall'altro lato, è chiaro che gli imprenditori devono innanzitutto trovare del tempo da dedicare ai propri dipendenti; devono farli appassionare al mestiere e coinvolgerli, condividendo il sogno che li ha portati a realizzare un progetto. Ma ancor più importante è la necessità di creare una sana cultura aziendale.
Ringraziamo Giampaolo per la disponibilità, certi che le sue parole possano essere di ispirazioni per molti.