La "Web Tax" italiana

All'"Imposta sui servizi digitali" ("ISD"), introdotta dalla L. 30 dicembre 2018, n. 145, pare possibile attribuire due differenti funzioni. La prima di esse, radicata nel diritto tributario internazionale, di “equalizzatore” finalizzato al parziale riequilibrio nell’allocazione del potere impositivo tra Stato di residenza fiscale dei soggetti operanti nel settore dell’economia digitale e Stati esteri in cui essi realizzano i propri redditi. Il ruolo svolto dall’ISD è, infatti, sovrapponibile a quello riservato alla Digital Service Tax (DST) contenuta nella Proposta di Direttiva UE dello scorso 21 marzo 2018. La seconda funzione, basata su ragioni di politica fiscale domestica, tesa ad intercettare una forma di ricchezza scaturente dall’effettuazione di prestazione di servizi, di largo e frequente impiego presso gli operatori economici, quali quelli digitali. Tale ulteriore ruolo rivestito dall'ISD, se da un lato mostra un adeguamento del nostro legislatore tributario ai mutamenti in atto nell’economia, caratterizzati dal passaggio dallo scambio fisico di beni e servizi allo scambio di beni e servizi in forma digitale, dall’altro lato evidenzia la ripresa, da parte del legislatore medesimo, di uno schema già attuato in passato, al momento dell’avvento dell’economia industriale tradizionale, laddove si era inteso colpire, mediante le imposte fabbricazione non oggetto di rivalsa “a valle”, la produzione di beni di ricorrente impiego (per approfondimenti al riguardo si veda F. Pedrotti, Prime osservazioni in merito all’abrogata imposta sulle transazioni digitali e all’Imposta sui servizi digitali introdotta dalla L. 30 dicembre 2018, n. 145, Rivista di diritto tributario n. 1/2019).

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