Per scegliere l’università? Guardatevi dal “lavoro sicuro”
L’arrivo di gennaio rimette in moto tutto il mondo del lavoro, lo studio degli universitari e gli studenti che ancora vanno a scuola. Gli unici ancora apparentemente immobili sono i neodiplomati che non hanno ancora deciso a che facoltà iscriversi e magari stanno parlando con tutti i loro amici, parenti e genitori su quale sia la scelta più giusta da fare. Sono loro che invidio di più perché hanno di fronte un’opportunità incredibile: prendersi del tempo per scoprire chi sono e decidere chi vogliono diventare.
Dei tanti suggerimenti, raccomandazioni e consigli che mi sentirei di dare ne voglio scegliere uno solo, quello che reputo più importante e che, se seguito, scatena a cascata fatti positivi: seguite il vostro cuore. Non vorrei apparire troppo “metafisico” dicendo questo; anzi l’invito è proprio a prendere sul serio noi stessi e la pasta di cui siamo costituiti.
La prima questione da mettere a tema infatti è proprio l’io, intendendo con questo termine tutto ciò che ci caratterizza come cultura a cui si appartiene, le passioni e gli hobby che coltiviamo e infine come talenti che ci sono stati dati. Mi auguro che nessuno si approcci alla scelta universitaria studiando solo tabelle in cui si spiega come la tale facoltà ha un’elevata percentuale di laureati che dopo un mese dalla laurea hanno trovato impiego. Forse che sono contro il lavoro? Certo che no. Il fatto è che le regole del mondo del lavoro stanno cambiando così velocemente che nessuno sa con certezza, con buona pace dei tanti guru che ci sono in giro, quali competenze saranno utili da qua a cinque, sei anni. Ad esempio la facoltà di giurisprudenza ai tempi in cui entravo in università era considerata la classica facoltà-cassaforte con un lavoro certo e ben remunerato. Ora invece basta parlare con chiunque stia facendo la pratica da avvocato per capire che la realtà è ben diversa da quella descritta appena qualche anno fa.
Mi auguro quindi che i giovani non si facciano fermare da tabelle, statistiche ed altri strumenti che portano verso la “facoltà migliore”, quanto piuttosto che si prendano del tempo per comprendere a fondo che talenti hanno per rendere unico il mondo con il loro lavoro, che in fondo è il principale strumento con cui esprimiamo noi stessi.
La domanda da porsi non è quindi qual è la facoltà migliore, ma quale sia la più adatta a noi. Senza voler banalizzare si potrebbe dire che l’università è come un abito da indossare. Non serve avventarsi su quello più costoso, quanto conoscere bene il proprio corpo, in questo caso la propria mente, per scegliere quello che più ci valorizza. Bisogna osservare, scrutare, analizzare perché il lavoro per cui magari certi ragazzi sono portati è proprio quello che adesso non esiste sul mercato. Quindi è inutile scegliere una facoltà che poi genera un lavoro cosiddetto “sicuro”. Serve uno sguardo nuovo per riconosce delle esigenze del mondo del lavoro che il mercato richiede dopo l’introduzione di rivoluzioni come quella dell’intelligenza artificiale e dell’approfondirsi delle neuroscienze. Chi sta scrivendo ad esempio attualmente è docente di soft skills e comunicazione non verbale modulati dal campo proprio delle neuroscienze e dalla neurofisiologia. Questo permette di avere delle qualità professionali e comportamentali imparagonabili rispetto a quelle insegnate da corsi di formazione di pochi anni fa. In sostanza quindi svolgo un lavoro che dieci anni fa sarebbe stato impensabile. E chissà quali altre decine di lavori stupendi sono stati inventati. A voi il compito di scoprirli, o addirittura di inventarne di nuovi dopo aver riconosciuto le necessità di chi lavora dentro questo tempo di rivoluzione tecnologica.
E ricordatevi infine: checché ne dicano i media ci sarà sempre bisogno di uno scrittore, di un pittore e di qualunque altro mestiere che si dice che sarà costretto a scomparire, perché chi ama ciò che fa finisce sempre per richiamare attorno a sé una folla di ammiratori. Si tratta di quelle persone che per fare la famosa “scelta giusta” non hanno dimenticato se stessi lungo il cammino. Voi dove desiderate essere: sul palco della vita ad essere ammirati mentre lavorate o in mezzo alla folla anonima?
Luca Brambilla
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5 anniMai dimenticare se stessi, i propri valori, i propri desideri. A costo di azzardare, è bene seguire il proprio Io. Complimenti per gli articoli sempre utili e pertinenti!