Questione di educazione fisica

Questione di educazione fisica

Forse la difficoltà più grande del mettermi a scrivere oggi questa newsletter sta nel fatto di non poterla titolare "Aprile è il mese più crudele", perché l'Internet ha memoria (non come l'acqua, sorry fan dell'omeopatia) e io questo titolo l'ho già usato l'anno scorso.

Se mi leggete da allora, complimenti a me e a voi: siete di fronte all'unico progetto della mia vita che ho iniziato e non ho ancora abbandonato.

Come sempre non ho tempo e non mi sono preparata, perciò vado a braccio che è sempre e comunque meglio che andare a culo.

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(Dal New Yorker) E voi che mi prendete in giro perché dico "grazie" a ChatGpt e a Siri


I rapporti umani inutili

IL bar (il mio bar) apre la vetrina e cambia l'inverno in primavera. La mensola esterna e quella interna si uniscono e diventano un tavolino che connette la parte fuori con la parte dentro: è il primo aperitivo su una Magenta temperata, è il primo venerdì sera in cui guardo il cielo.

La luce nelle fotografie è diversa, meno profonda e troppo vivace, e la voglia di avere a che fare con troppe persone contemporaneamente diminuisce con l'aumentare delle ore di luce. Ma forse questa è l'età, che non per niente si conta in primavere.

"Non è vero che noi millennial utilizziamo le app e facciamo tutto da remoto perché non vogliamo più avere rapporti con le persone - dice M. mentre beve una Falanghina che sa di gesso e pietre - è che ci siamo stufati dei rapporti umani inutili, quelli che ci fanno mettere in coda in posta o in banca, e vogliamo concentrarci solo sui rapporti piacevoli e sulle persone che ci interessano davvero".

L'aperitivo del venerdì sera fa parte di questa categoria, e penso che valga per tutti e quattro noi dai due lati della vetrina, e quindi sono felice.

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Intendo questo per "luce troppo vivace"

Datti all'equitazione

Tra marzo e aprile ho deciso che, con 37 anni di ritardo su una normale tabella di marcia, sarei diventata una sportiva.

Fortunatamente, nel mio abbonamento di palestra/piscina ho scoperto essere compresa tutta una serie di corsi fitness dai nomi esotici: jump fit, dance fit, zumba (!), panca fit, step coreo e anche un misteriosissimo Tai fit Shao che scrivo in maiuscolo perché non so quali arti sacre siano marginalmente coinvolte al su interno e non desidero irritare alcuna divinità orientale.

Scorrendo lo sguardo sulla tabella degli orari ho deciso un giorno, d'impulso, che avrei provato tutti i corsi, uno ad uno.

Il primo è stato lo zumba, che nella mia classifica personale delle cose di cui vergognarsi sta un gradino sopra il traffico di organi e un gradino sotto l'andare in giro con l'elastico dei pantaloni molli e la crenna del sedere in vista. A zumba ci sono andata con mio cugino, battendo il record - se mai esistesse - della scoordinazione di coppia. Poi ho provato la dance fit, che è tipo la zumba ma per vecchi e senza canzoni ambigue che dicono (lo giuro sull'Inter) "chi ha il caffè? Io ci metto il latte". Non ho provato il jump fit, che si disbriga su tappeti elastici tipo quelli dei luna park, ma ho provato il Tabata, quel tipo di ginnastica intensiva che, pare, avrebbe fatto dimagrire tantissimo la cantante Noemi.

Ora, non sono mai stata un mostro né in logica né in fisica, ma penso di poter affermare con certezza che se una grandezza è intensiva non può essere anche estensiva. Quindi, se il Tabata mi è un allenamento intensivo, dovrà durare 20 minuti/mezz'ora massimo, non certo un'ora o più come gli allenamenti estensivi.

Tra la fisica e l'educazione fisica c'è una differenza di educazione. E non essendo io educata a sport alcuno mi sono trovata a fare il primo allenamento Tabata della mia vita per 80 minuti consecutivi. Un'ora e venti a sudare con altri 15 cristiani dietro una tizia folle e perversa armata di elastici e di una base sonora che indicava a momenti alterni i secondi di pausa e i secondi di allenamento intensivo.

Dopo un'ora e venti di quella che io a oggi considero la mia personale Guantanamo, non mi sono mossa per una settimana e mi è uscito sul labbro superiore un herpes di 3x3 centimetri di cui porto ancora, a monito perenne, la cicatrice.

Ho fatto perciò l'unica cosa sensata da fare, e cioè ho mollato tutti i corsi e ho iniziato a fare yoga con una signora gentilissima che sussurra istruzioni al lume di un bastoncino d'incenso. Sono inetta anche a yoga, ma chiudo gli occhi, sorrido e fingo. Beata.

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Ciao corso di zumba, ci rivediamo con... il coso, lì... ah sì, corcazzo.

Le letture del mese

Questo mese per poter capire l'ultimo libro di Daniel Pennac ho dovuto rileggere da capo tutta la saga dei Malaussène: sono sei libri, quindi ho avuto tempo solo per infilare un libro che mi è stato regalato (Tutto nella norma di Gaia Spizzichino, molto carino) e nient'altro.

Perciò sto per barare nel consigliarvi l'autobiografia di Woody Allen, letta non appena è uscita nel 2020 e necessaria presenza in qualsiasi libreria degna di questo nome (esagero per esigenze di narrativa, ma anche perché Woody Allen mi piace molto).

L'autobiografia si è resa necessaria, io credo, non tanto per la volontà di fare un bilancio di una lunga e appassionante vita quanto per la voglia di raccontare una volta per tutte la verità su uno scandalo che coinvolge il regista ormai da troppi anni: le accuse di molestia sessuale sulla figlia di Mia Farrow.

Negli Stati Uniti, il paese dove gli attori di Hollywood prendono le distanze da Woody Allen dopo essere da lui stati diretti nei suoi film perché basta un tweet sbagliato - altro che una molestia - per essere cancellati e perdere il lavoro, l'autobiografia è stata rifiutata da diverse case editrici e, a volerla dire tutta, anche in Italia è stata pubblicata da La nave di Teseo, una piccola (relativamente) e coraggiosa casa editrice fondata da Umberto Eco ed Elisabetta Sgarbi, tra gli altri.

Leggetela, anche solo per scoprire che Woody Allen non è solo il miglior regista di tutti ma è anche un grande clarinettista jazz.

Se potessi tornare indietro, che cosa non rifarei? Comprare l'affettatutto che ho visto in televisione.
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Mi sa che è bella anche e soprattutto letta in lingua originale

Il vino del mese

A proposito di Falanghina che sa di gesso, il CRUna deLago è un vino dal colore giallo carico e dall'anima vulcanica, che esprime con schiettezza la Doc Campi Flegrei.

Fatto solo con uve raccolte a mano, oltre al gesso butta fuori una macchia mediterranea di ginestre, e un filo di alloro. Per chi la sa sentire, trasporta tra le rocce e i fuochi accesi l'eco degli oracoli della Sibilla Cumana, da cui la cantina prende nome e ispirazione.


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Così la neve al sol si disigilla, così al vento ne le foglie levi si perdea la sentenza di Sibill


Mancano 30 minuti alla fine del mese di aprile: anche questa volta ce l'abbiamo fatta.

Ci sentiamo il 31 maggio se state solo su LinkedIn e un po' prima per la newsletter di metà mese se state anche su Substack: non fate sport perché fa molto male.

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