SUPERLEGA O SUPERMORALISMO?
Riflessione personale sul sistema calcio, sulle reazioni e sui punti di vista.
"Solo quando i leoni si metteranno a scrivere la storia, i cacciatori cesseranno di essere degli eroi" (proverbio africano)
Qui non ci sono eroi, cacciatori, buoni o cattivi, santi innocenti o peccatori. Ma il calcio si sa, provoca commenti da parte di chiunque.
Non so se mi piacerà (o sarebbe piaciuta) la Superlega, così come non sapevo della Champions League e successive modifiche, o dell’Europa League a discapito delle mai dimenticate Coppa Uefa e Coppa delle Coppe, senza parlare degli Europei.
Il day after di una data che potrebbe segnare una della tante storie nel calcio, quel più rimane impresso nella testa è invece la reazione violenta di tutti gli antagonisti e/o presunte vittime della proposta. A memoria non ricordo una tale levata di scudi così veemente e repentina nei confronti di una delle tante riforme o cambiamenti che periodicamente subiamo ed abbiamo subìto nel settore.
La straordinarietà del momento e la crisi globale ha ovviamente accelerato un cambiamento che si è reso inevitabile. Non sapendo nemmeno come si svilupperà o sarebbe sviluppato esattamente questo progetto, il coro unanime è stato di condanna senza attenuanti.
Scandalo, sdegno, disgusto, vergogna i sentimenti maggiormente emersi, in nome della sportività e della meritocrazia, tipica della tradizione.
Ma siamo sicuri che in realtà questi non siano invece ipocrisia, vittimismo, bigottismo e falso moralismo? D’altronde gli slogan sono il pane di mestieranti e in queste categorie ne sono pieni..
“I cambiamenti portano le novità, non il contrario, perché le novità si attendono, ma i cambiamenti si fanno..”
Che il calcio sia cambiato è un dato di fatto. Solo qualche giorno fa si litigava tra vecchia scuola e nuova scuola d’insegnamento nata dal cambiamento di regole. Calcio veloce, tecnico, intenso, “europeo”..
Che i tifosi siano cambiati è un dato di fatto. La globalizzazione e il progresso tecnologico ha prodotto una fruizione, una partecipazione e una visione dello sport calcio totalmente diverso dal passato. Questo cambiamento ha decretato un’offerta diversa sul mercato mediatico e il conseguente target di pubblico.
Che la gestione e i costi dei club siano cambiati è un dato di fatto. Giusto? Sbagliato? Il mercato è costituito dall’insieme dei compratori e dei venditori di un determinato bene o servizio. I club partecipano iscrivendosi e rispettando dei parametri nelle competizioni presenti sul mercato, i giocatori e gli allenatori offrono le loro prestazioni per le quali vengono ingaggiati. Nell’indotto e nel cerchio rientrano anche tutti i servizi e gli asset necessari.
Che nonostante parliamo di Europa, all’interno della stessa zona ci siano modelli differenti di cultura ed approccio è evidente e spiega anche la differenza di veduta e reazione alla proposta. Che il modello tedesco non abbia esigenze economiche e manie di sottomissione come in Italia, oltre che a un’organizzazione manageriale diversa è conosciuta. Che il modello inglese di fan area sia all’opposto dell’italiano è conosciuta, così come son naturale ed accettati i rapporti commerciali che si sviluppino in altre paesi tra le proprietà e le istituzioni.
In ogni caso stiamo parlando di business. Lo sport in generale NON è business. Ma lo sport a questi livelli E’ business.
Questo per me è il vero nocciolo della questione. La differenza sottile ma determinante di ogni discussione alla base del calcio. Continuiamo a confondere il gioco e la passione del gioco con qualcosa che per altri è invece questione di affari. Dobbiamo distinguere quel che guardiamo da che quel che vorremmo guardare. Vorremmo una visione romantica di qualcosa che per la natura stessa di quel che produce non può essere.
I tifosi sono il motore del mondo calcio. E’ ovvio. Ma allo stesso tempo sono i consumatori/clienti, anche se non ci piace sentirci chiamare così ma di fatto abbiamo la possibilità di scegliere se seguire ed alimentare il circuito. Non ne abbiamo però il potere (diritto?) di cambiarlo. O perlomeno lo abbiamo indirettamente, solo condizionandolo con le nostre scelte.
Quando sono cambiati i campionati e i tornei precedenti, dettati ovviamente, allora come oggi, da esigenze economiche, non ci è stato chiesto l’opinione ma ci è stato proposto un nuovo spettacolo: è stata nostra scelta decidere se seguirlo o restare ancorati all’indimenticabile mercoledì di coppa. Abbiamo cominciato ad appassionarci e conoscere un calcio estero, diverso, con giocatori stranieri e lo abbiamo, senza troppi sentimentalismi, preferito alle partite nostrane meno nobili, idolatrando i nuovi carneadi estero.
E su questo filone di esempi potremmo andare avanti per molto tempo per dimostrare che il calcio è cambiato. Non voglio dire che sia migliore o peggiore ma che è cambiato e questo è insindacabile.
Ci ostiniamo a ragionare sul calcio come se fosse una questione di tutti o che ne fossimo parte integrante decisionale ma così non è. Gli ammirevoli cori "il calcio è nostro, non loro. La squadra di calcio è nostra, non loro" purtroppo denotano una bugia. Solo in Germania il club appartiene per il 50+1 ai tifosi, ovunque invece appartiene ad altri.
Ci ostiniamo a trattare il calcio come se fossimo in una categoria dilettantistica ma l’introito che genera è impensabile
Ci ostiniamo a dar consigli e commentare strategie aziendali credendo di giocare a FIFA o Football Manager, dove tra l’altro creiamo super leghe e scegliamo i giocatori e le squadre migliori, senza saper un minimo di economia e gestione finanziaria.
Parliamo inoltre di passione, sportività e meritocrazia quando non accettiamo un risultato negativo o mettiamo in dubbio la superiorità dell’avversaria, magari dopo aver minacciato i giocatori lavoratori che dovranno nel caso rendere conto per primo al proprio datore di lavoro. La stessa meritocrazia che viene calpestata nel mondo calcistico italico a più livelli e settori, in quanto sconosciuta e scavalcata da interessi.
Il calcio però è gioco e passione ed unisce attorno a dei valori inderogabili e, mai come ora, forse sottovalutato, è evidente a livello mondiale, ma le riforme serie servono.
Prima di arrivare a questa situazione che, nonostante la reazione emotiva, resta, il sistema calcio è collassato o rischia di collassare. I gestori occulti (ma neanche tanto..) che detengono il monopolio e la dittatura del sistema mondiale non sono immuni di colpe ed anzi sono i primi responsabili di ciò a cui si è arrivato. Le regole esistevano ed esistono tutt’ora per governare in modo sostenibile il mondo pallonaro ma appunto perché si mischiano tra sport, e quindi etica decoubertiniana, con business, soggetto a leggi economiche, risultano di difficile combinazione.
Gli stessi monopoli che organizzano, propongono e di fatto obbligano i club alle strade percorribili sembrano restii a confronti e soluzioni eque con i club facendo leva su valori e principi che spesso hanno calpestato, con l’idea di un comunismo sportivo che la stessa idea di competizione ed avidità commerciale ovviamente distrugge.
In ugual misura è la responsabilità dei calciatori, allenatori ed addetti che sono tutt’altro che attori non protagonisti o vittime di un sistema nel quale loro stessi sono i condizionanti. I club per essere competitivi ricercano i migliori che mettono al bando la verginità sportiva, di cui si sentono portatori, per ottenere il meglio in termini economici, quasi sempre subordinando quell’aspetto emotivo, passionale, romantico ed irrazionale che tanto inebria il tifoso. Ma questo è comprensibile! Ma non dovrebbe essere ipocrita..
E coloro che più di tutti stanno condannando queste proposte, impaurito da un possibile ridimensionando dello status attuale, non sarebbero molto diversi al loro posto, come accade dinanzi al potere e del miraggio di averlo.
Siamo uomini, spesso deboli, che preferiamo criticare, invidiare, lamentarci senza aver il coraggio di modificare la realtà, facendo quei cambiamenti che si, porterebbero novità, e quindi possibili miglioramenti.
Dopo una reazione simile e delle prese di posizioni così importanti e nette, l’augurio che alle parole seguano i fatti, quelli veri, quelli alimentano i cosiddetti valori sani, altrimenti come al solito sarà la solita tempesta di polvere. E questa volta i fatti devono farli però tutti gli altri, coloro che hanno difeso il bene-calcio e il calcio-passione. Dai tifosi agli organizzatori, che dovranno mettere al bando contestazioni e lamentele, offrire prodotti sostenibili garantiti da regole ferree.
Siamo sicuri di sapere veramente chi sono stati i vincitori e gli sconfitti?
Senior Executive Advisor - Revello Associati
3 anniE sì Salvatore Reale, troppe false #vergini