Il ruolo del Project Manager nell’ambiente di progetto
Il Project Manager deve conoscere molto bene l’ambiente in cui il progetto vive e si sviluppa. Questo aspetto è implicito nella stessa norma UNI ISO 21500. Egli ha inoltre una responsabilità gestionale primaria: quella dell’integrazione di progetto. Ciò nonostante, le competenze tecniche di project management legate ai processi non sono sufficienti per svolgere efficacemente il ruolo, occorrono anche competenze strategiche e di leadership.
Nei precedenti articoli abbiamo parlato dell’importanza dell’ambiente organizzativo per il successo dei progetti. Questo aspetto è implicito nella stessa norma UNI ISO 21500 “Guidance on project management”. Lo schema di Figura 1, tratto dalla predetta norma infatti, non evidenzia semplicemente l’importanza dell’ambiente organizzativo a livello di progetto, delinea piuttosto interazioni con un ambiente più ampio rappresentato dall’ambiente dell’organizzazione in cui il progetto è sviluppato e da quello esterno a quest’ultima. Le opportunità, generalmente di mercato, le analisi di business, i benefici prodotti dal progetto, legano questi ambienti mettendoli in relazione.
Figura 1 – Schema generale dei concetti di project management e relazione tra ambiente di progetto, ambiente organizzativo e ambiente esterno secondo norma UNI ISO 21500
Lo schema sintetizza più precisamente, in relazione ai suddetti ambienti, il seguente flusso, strategico a livello di organizzazione:
- la strategia dell'organizzazione identifica le opportunità;
- le opportunità vengono analizzate e valutate e una parte di esse selezionata per essere ulteriormente sviluppata e produrre uno specifico business case;
- detto business case può tradursi in uno o più progetti;
- gli output rilasciati, i cosiddetti deliverable sono ingresso per i processi correnti e producono attraverso di essi benefici per l’organizzazione;
- detti benefici diventano nuovi input per i processi decisionali e per le strategie di business dell’organizzazione.
Il Project Manager (PM) deve pertanto conoscere molto bene l’ambiente in cui il progetto vive e si sviluppa essendo il suo ruolo centrale per il raggiungimento degli obiettivi. Nel far ciò il PM personalizza nei confronti del progetto la strategia gestionale e i processi in funzione di molteplici aspetti.
Spesso diamo per scontato, per esempio, che il PM segua ininterrottamente un progetto dall’istante in cui esso nasce (avvio) all’istante in cui esso si conclude (chiusura). In realtà possono verificarsi situazioni molto eterogenee. Può accadere, e questa è la situazione auspicabile, che il PM venga coinvolto dallo sponsor già nella fase di analisi preliminare all’avvio del progetto.
In questo caso, il PM ha fin dall’origine la visione del business case e quindi una maggiore consapevolezza degli obiettivi e di come essi si integreranno a livello di programma o portfolio con le strategie aziendali di più alto livello. Può tuttavia accadere anche che il PM sia interessato solo in un secondo momento o che subentri ad altro responsabile di progetto in corso d’opera.
Il PM è in ogni caso chiamato a vedere oltre l’ambiente strettamente di progetto e a strutturare i processi di project management adeguandoli al progetto e ai suoi obiettivi specifici, all’organizzazione e ai suoi più ampi obiettivi strategici e di business. Al PM è per questo normalmente richiesto un forte approccio strutturato per processi e al tempo stesso una notevole capacità di personalizzare i processi medesimi.
In sintesi, occorre comprendere che il ruolo di PM è molto diverso da quelli operativi che realizzano l’opera del progetto; potremmo dire che il ruolo del PM non è tanto quello di fare quanto piuttosto quello di “far fare”. Il ruolo del project manager è inoltre differente da quello tipico del manager funzionale a causa della natura stessa di ciò che si definisce progetto.
Egli guida il gruppo di progetto verso gli obiettivi, nell’interesse dello sponsor e degli altri stakeholder gestendone e bilanciandone le aspettative; per far ciò bilancia requisiti, vincoli, interessi e risorse spesso in conflitto.
La conoscenza dei processi di project management, delle tecniche, degli strumenti, dei metodi di analisi, di pianificazione, di controllo, sono fondamentali per lo svolgimento del ruolo. Ad esse è tuttavia necessario aggiungere soft skill. La capacità comunicativa in particolare è una attitudine trasversale e fondamentale. Non si tratta solo di trasferire informazioni, si tratta di comprendere la comunicazione degli stakeholder, anticiparla, guidarla. Per ottenere questo effetto occorre spesso strutturare e perseguire in modo consapevole e coerente una comunicazione concisa ma esaustiva, chiara, semplice, pertinente, adeguata al contesto, caratterizzata da specifici canali di feedback in grado di prevenire fraintendimenti, ambiguità, indeterminazioni, in grado di orientare e prevenire in sostanza rischi. Tutto ciò è attuato attraverso canali sia formali che informali che vanno bilanciati adeguatamente lungo l’intero ciclo di vita del progetto.
Quanto quì espresso sulle competenze richieste ad un buon PM sono riassunte dal PMI nel concetto di triangolo delle competenze (Talent Triangle, Figura 2) composto da:
- conoscenze e competenze tecniche di project management;
- conoscenze e competenze di leadership necessarie a costruire, motivare, guidare e gestire il team in modo efficace;
- conoscenze e competenze di gestione aziendale e strategiche.
Figura 1 - Il triangolo delle competenze del Project Manager secondo il PMI (fonte: PMBOK Sesta Edizione)
Detto triangolo evidenzia in sostanza come le competenze tecniche di project management non siano sufficienti per svolgere correttamente il ruolo di project manager.
Le competenze tecniche gestionali si concretizzano infatti nella capacità di analizzare l’ambiente di progetto, di individuarne gli aspetti critici, di utilizzare efficacemente ed efficientemente processi, strumenti e tecniche di project management secondo approcci che possono essere tradizionali cioè waterfall (a cascata) piuttosto che adattativi o agili.
Le capacità strategiche e gestionali consentono invece di inquadrare efficacemente il progetto in un contesto più ampio al fine di massimizzare il valore del progetto stesso per l’organizzazione in un’ottica di business. Il progetto come focalizzato dal PM non può infatti essere un mondo chiuso sui soli aspetti tecnici di project management, spazia oltre al fine di raccordare il progetto con un modo e un ambiente più ampio.
Un PM non può essere un semplice activity planner e nemmeno un mero account controller o le due cose messe insieme, non può limitarsi a sintetizzare informazioni qualitative e quantitative, strutturando tabelle e sintetizzando grafici, utilizzando tecniche e strumenti gestionali informatizzati più o meno complessi, per quanto efficaci e moderni. Deve possedere capacità strategiche più ampie al servizio del progetto e dell’organizzazione.
Parallelamente deve possedere ed esercitare doti di leadership al fine di costruire il gruppo e motivarlo per poterlo dirigere efficacemente. Più di qualunque altro componente del team il PM deve quindi possedere capacità comunicative, di negoziazione e di analisi critica. Il PM osserva i comportamenti degli stakeholder, ne ricava una mappa, la mantiene aggiornata, utilizza tutto ciò allo scopo di incanalare nella giusta direzione le comunicazioni e le capacità e le potenzialità delle risorse.
Non è un caso che molti project manager passano, secondo le statistiche, circa il 90% del tempo a comunicare. Questo non è di per sé un aspetto che mette il progetto al riparo da rischi comunicativi, poiché molto dipende non da quanto tempo si passa a comunicare quanto piuttosto da come si comunica. Occorre allora chiederci:
- quanto è realmente efficace la nostra comunicazione come PM?
- quanto è correttamente codificata e strutturata?
- la comunicazione formale e quella informale sono correttamente bilanciate?
- Sono gestiti i corretti feedback a beneficio dell’efficacia della comunicazione stessa?
Non è tutto. Ci sono altri tratti distintivi tipici di un PM su cui occorrerebbe riflettere. Un PM in grado di svolgere appieno il suo ruolo tipicamente tende a richiedere una discreta o forte autonomia e non è attendista ma proattivo rispetto al fatto che gli venga concessa. Ciò si traduce in una posizione di autorevolezza e quindi di potere nel senso positivo del termine, primo tra tutti quello di decidere che le persone giuste svolgano le attività giuste, nel modo giusto e nel momento giusto in seno al progetto e per il bene del progetto.
Questo tipo di potere non dipende evidentemente dalle capacità tecniche gestionali del PM quanto da altre attitudini che finiscono per configurare il modo in cui egli è percepito dalle altre persone nel progetto e nell’organizzazione. Il potere del PM spesso non deriva tanto da una posizione di autorità quanto piuttosto da un approccio adeguato caratterizzato da un esercizio autorevole e consapevole delle sue soft skill.
E’ fondamentale comprendere a riguardo che leadership non significa affatto “comando”, implica piuttosto un presupposto basilare: “lavorare con gli altri”. Solo se si realizza questo presupposto è possibile realizzarne uno successivo, quello di guidare gli altri verso un obiettivo. E’ pertanto evidente la necessità di instaurare rapporti, di curarli, di infondere fiducia motivando ed ispirando, chiedendo pareri, opinioni, motivazioni al fine di fare squadra e di allineare verso un obiettivo più grande senza mai perdere di vista la visione di lungo termine e gli obiettivi ultimi del progetto. Il PM non è un semplice amministratore di progetto, agisce secondo approcci sistemici, promuove un controllo efficace solo a valle di una pianificazione strutturata, valorizza il team e ne sfrutta appieno le potenzialità per il bene del progetto, dell’organizzazione, del team stesso.
Il PM, se necessario, modifica il suo stile di leadership in funzione dell’ambiente di progetto, del team, dell’organizzazione, in funzione di specifiche situazioni ed è sempre ben consapevole di non dover necessariamente intervenire in ogni decisione. Può per esempio in taluni casi optare per un comportamento di non intervento qualora il team si dimostri capace di intraprendere in autonomia e in modo efficace specifiche azioni.
Il project management d’altronde non è una scienza esatta dal momento che quasi sempre vi sono molti potenziali modi parimenti validi di gestire un progetto. Tuttavia la conoscenza dei processi, delle tecniche, degli strumenti di project management, unitamente alla competenza e all’esperienza acquisita con la loro applicazione aumenta fortemente la capacità di gestire in modo efficace il progetto stesso e la probabilità di riuscire a guidarlo consapevolmente verso il successo. Ciò è particolarmente evidente qualora ci si trovi a gestire progetti complessi in cui le parti componenti sono numerose e le interdipendenze molteplici e spesso critiche o variabili dinamicamente.
Non a caso, gli approcci sia waterfall che agile di project management sono approcci comunque strutturati per processi. Per questo, nel prossimo articolo entreremo nel merito della gestione strutturata dei progetti. Per far ciò parleremo di ciclo di vita del progetto e di fasi di progetto e introdurremo in modo più ampio e dettagliato i processi di project management come definiti nell’ultima edizione del PMBOK.
Vedremo come lo standard di project management promosso dal PMI attraverso il PMBOK strutturi i processi di project management in aree di conoscenze e gruppi di processi. Tra le aree di conoscenza vi è la “Gestione dell’integrazione di progetto” che è una area critica per il PM. Come PM dobbiamo infatti essere in grado di integrare efficacemente i processi. Più saremo in grado di riconoscere i corretti processi di project management e di interconnetterli attraverso input ed output definiti, applicando correttamente i relativi strumenti e tecniche, più saremo in grado di integrarli e maggiori saranno le probabilità di successo del progetto.
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5yArticolo molto interessante