Antropomorfizzazione dell'animale
La linea sottile tra benessere ed egocentrismo
Abbiamo parlato di animali e di filosofia, e vi ho lasciati con una domanda: quanto un animale può diventare uomo, e quanto un uomo può essere animale?
L’argomento di oggi sarà proprio la pratica, al giorno d’oggi molto in voga, di umanizzare il proprio animale domestico. Risponderò alla prima domanda: quanto un animale può diventare umano, e soprattutto, quando questo può diventare dannoso per il nostro amico a quattro zampe?
Insomma, c’è una linea sottile tra il vestire un animale per il suo benessere fisico e il vestirlo per la moda di andare a spasso avendo gli occhi di tutti addosso. Ma questa sorta di egoismo vale veramente la salute del vostro cane?
Da molto tempo, il cane è considerato il migliore amico dell’uomo ma, soprattutto negli ultimi anni, il rapporto uomo-animale sta cambiando, modificando rapidamente e radicalmente lo stile di vita dei nostri compagni a quattro zampe e anche quello di noi padroni. Da semplice animale, il cane è diventato parte integrante della famiglia, ed ha subìto una vera e propria antropomorfizzazione, ovvero gli sono stati attribuiti comportamenti e caratteristiche umane.
Bisogna però riconoscere e non dimenticare la vera natura del cane, cioè quella animale, con un istinto ben diverso da quello umano e che, in quanto tale, ha necessità e bisogni lontani da quelli che alcuni padroni tendono ad attribuire loro.
Per questo, l’eccessiva umanizzazione del cane può portare a una serie di importanti conseguenze soprattutto in ambito comportamentale.
Vorremmo tutti avere un cane per donargli affetto spropositato, ma non è l’amore l’ingrediente principale per avere un animale che sia felice ed equilibrato.
Un cane, infatti, ha bisogno di avere delle regole e dei limiti ben imposti dal proprio padrone, che deve essere in primo luogo la sua guida coerente, in grado di fornirgli le cure necessarie e soddisfare le sue esigenze basilari, come l’esercizio e la disciplina.
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I cani sono famosi per la loro capacità di adattarsi allo stile di vita umano, ed è proprio per questo che vivono da migliaia di anni in simbiosi con noi uomini. Ma rimane sempre un animale e, in quanto tale, ha bisogno di una salda routine, leadership e prevedibilità, e non solo di affetto.
Il cane, infatti, ragiona per causa-effetto e, mancando del linguaggio umano, non può essere cosciente di tutte le sfumature comportamentali e motivazionali che guidano invece noi umani. Ad esempio, possiamo pensare di accarezzare un cane che abbaia e ringhia per tranquillizzarlo, ma per lui vuol dire “bravo, continua così”[1].
Per non parlare delle antropomorfizzazioni più estreme: quelle “salutiste”, per cui vengono somministrate ai propri animali diete povere di grassi o addirittura “vegane”, che seguono lo stile di vita dei loro padroni. L’alibi dei proprietari si cela sotto la loro definizione di empatia, traducendosi in un “il mio cane ama questa cosa” oppure “preferisce questo invece che quello”.
Ma fino a dove può spingersi questa particolare empatia? Siamo sicuri che quel bassotto ami così tanto quel cappottino così pesante che lo costringe a camminare a testa bassa? L’antropomorfismo non consiste solo nel “viziare” cane e gatto, ma spesso sfocia in un vero e proprio maltrattamento.
L’etologo Desmond Morris, condanna l’umanizzazione degli animali dicendo:
"[Questa pratica è innaturale] perché in questo modo non riusciamo a comprendere loro e i loro veri bisogni e messaggi. È uno dei più grandi errori che possiamo fare. E anche noi viviamo in un ambiente innaturale, perché come per i gatti, i cani e altri animali cacciatori che sono costretti a vivere in appartamenti, noi spesso siamo costretti a vivere in città[…] Una volta nel 1988 per un mio programma alla BBC ho passato con la bocca una banana a un orso addomesticato. Forse la cosa più stupida della mia vita. Ma l'orso non mi ha aggredito, ha accettato il mio regalo. È stato comunque terribile, perché a quell'animale era stato fatto un danno atroce: fosse stato rimesso nel suo ambiente naturale, non avrebbe più saputo come comportarsi […] Gli animali domestici sono uno dei pochi contatti veri con la natura che ci sono rimasti ed è anche per questo motivo che siamo attratti da loro. È una connessione vitale per noi […] Dovremmo dunque imparare a comprendere loro e il loro mondo, per stare tutti meglio. Quando il gatto si strofina sulle nostre gambe è perché deposita una piccola secrezione per marcarci come oggetto familiare, non lo fa per puro affetto. Quando il cane cerca di saltare verso di noi, avvicinandosi alla bocca, lo fa perché in ambiente selvaggio i genitori gli passavano per bocca liquidi dallo stomaco e quindi si aspetta lo stesso da noi. Quando fissiamo con gli occhi questo tipo di animali, magari perché ci piacciono, loro la considerano una minaccia. Per questo a volte si dirigono verso chi non li apprezza”[2].
Marta Pasquariello
[1]Dott.ssa Roberta Borzi istitutobeck.com
[2]da repubblica.it/cultura