Come prevedere con precisione la prossima crisi internazionale

Come prevedere con precisione la prossima crisi internazionale

Quando è scoppiata la guerra civile in Siria nel 2012 essa ha colto di sorpresa la quasi totalità degli italiani perché erano molti anni che la Siria non era al centro dell'attenzione internazionale. Eppure già da marzo del 2011 erano in atto vaste proteste contro il governo per cui probabilmente i servizi di sicurezza internazionale stavano gia tenendo d'occhio attentamente l'evoluzione della situazione.

Anche molti addetti ai lavori non avrebbero però mai immaginato che si trattava di una crisi che sarebbe rimasta nella storia per la sua gravità, per l'intervento militare diretto di molte forze straniere (Russia, Turchia, USA ecc.) e che avrebbe causato movimenti migratori di massa che hanno destabilizzato a livello politico l'Unione Europea.

A distanza di cinque anni e oltre 400.000 morti, la guerra civile siriana sembra volgere al termine a favore del governo di Assad, ma è difficile prevedere ad esempio se e quando i milioni di rifugiati siriani in Turchia e Giordania potranno tornare in patria e che vita li aspetterà.

Sia per i governi che per le aziende e perfino per i normali cittadini sarebbe quindi di grande valore, anche economico, riuscire a prevedere dove scoppierà la prossima crisi internazionale per poter minimizzare i danni subiti e pianificare come reagire anziché essere travolti dall'emergenza.

Ogni anno però scoppiano rivolte contro il governo in carica in diverse parti del mondo, ma raramente si trasformano in guerre civili o crisi di vaste proporzioni quindi non si può rincorrere ogni notizia riportata dai media internazionali. È necessario un modello di analisi che sia in grado di definire quali sono i paesi che per le loro caratteristiche politiche, sociali ed economiche sono comunque destinati ad una crisi sistemica.

Incrociando una serie di dati disponibili gratuitamente via internet e applicando la mia analisi qualitativa di una serie di trend in atto, ritengo di aver elaborato un metodo accurato per prevedere quali paesi sono i maggiori candidati a subire una crisi irreversibile nel giro di pochi anni.

Queste conclusioni sono raccolte nella seconda edizione del mio libro "Tre sfide per una generazione" di recente pubblicazione.

Chi non mi conosce personalmente potrebbe però chiedersi con quale autorevolezza propongo delle previsioni su temi di tale complessità.

Sono nato nel 1981 e fin da bambino sono stato appassionato di geopolitica, economia ed energia perché volevo capire come dare il mio contributo a combattere problemi ambientali globali come il buco nell'ozono o i cambiamenti climatici che allora prendevano il nome di "Effetto serra".

Ricordo anche come seguivo con grande attenzione dai telegiornali le vicende della guerra Iran-Irak, poi le Guerre del Golfo, la crisi della Somalia, dell'Afghanistan ecc.

Nel 1999 mi sono iscritto così alla facolta di Economia Internazionale grazie alla quale ho avuto finalmente accesso a degli strumenti analitici sofisticati per comprendere il mondo che mi circondava. Due materie in particolare mi hanno aperto gli occhi: Storia economica e Corporate Finance. Ho avuto la fortuna infatti di avere due professori eccellenti come Gianni Toniolo (storia) e Maurizio Murgia (finanza) con i quali ho potuto creare un rapporto personale e approfondire queste materie.

Studiando da una parte le bolle speculative nella storia e dall'altra il meccanismo degli strumenti finanziari derivati mi ricordo che avevo previsto con notevole precisione sia la bolla del Nasdaq che la crisi dei derivati. Per il Nasdaq la bolla era abbastanza evidente anche perché alcuni analisti ne parlavano apertamente, ma io avevo il vantaggio di non essere coinvolto direttamente non lavorando ancora nel settore e non avendo soldi investiti per cui probabilmente ero maggiormente obiettivo.

Sul tema dei derivati invece mi aveva scioccato scoprire che in pratica le banche stavano chiedendo a piccoli risparmiatori e ai Comuni di fungere da assicurazione nei confronti della banca. Una cosa che non ha alcun senso perché chi è più debole finanziariamente come una famiglia paga un soggetto più ricco per ridurre la propria esposizione ai rischi, non il contrario. Mi puzzava di bruciato e avevo ragione.

Ero talmente disgustato da quel mondo che decisi di non perseguire una carriera nella finanza per dedicarmi invece alla mia passione per l'ambiente e l'energia. Tutti i miei lavori successivi sono nati proprio dalla capacità di leggere le tendenze in atto e arrivare prima degli altri: avevo intuito l'imminente crisi delle polveri fini nell'aria in Alto Adige e così scrissi nel 2002 la tesi su come affrontare questo problema attraverso il mobility management. Di qui il lavoro come Mobility Manager del Comune di Merano.

Ho seguito anche l'evoluzione della tecnologia delle batterie al litio e nel lontano 2008 mi resi conto che le auto elettriche stavano per diventare una realtà e così dal 2010 ho contribuito a creare il settore della mobilità elettrica per la società energetica dell'Alto Adige.

Più recentemente, intorno al 2013, avevo previsto l'imminente crollo del prezzo dell'energia elettrica e del gas e l'avvento della produzione energetica decentrata così mi sono preparato a lasciare le società energetiche tradizionali e attualmente lavoro in proprio sviluppando la nuova società energetica Energia Positiva.

Tornando ai temi di natura geopolitica, proprio mentre scoppiava la guerra in Siria nel 2012 incominciavo a raccogliere dati e idee per la prima edizione del mio libro che aveva l'obiettivo di proporre soluzioni innovative per combattere le sfide ambientali del nostro tempo.

Volevo capire cosa stava succedendo effettivamente nel mondo e così incominciai ad esaminare i dati delle Nazioni Unite su una serie di parametri a partire da quelli demografici, cioè che riguardano l'evoluzione della popolazione di un paese.

Noi siamo abituati a parlare di sovrappopolazione a livello mondiale, ma si tratta di un concetto in parte fuorviante, perché le persone non si possono spostare liberamente da un paese ad un altro, di conseguenza un dato più importante secondo me è la sovrappopolazione di un singolo paese rispetto alle sue risorse nazionali con riferimento in particolare a produzione agricola e disponibilità di acqua.

Se si tratta di un paese ricco, allora questo paese può non essere autosufficiente a livello agricolo e comunque comprare il cibo facilmente sui mercati internazionali come nel caso di Giappone o Singapore. Se però il paese è povero e continua a crescere demograficamente molto rapidamente, arriva un punto nel quale il governo non è più in grado di fornire il cibo alla popolazione e si innesca una crisi che si può "risolvere" temporaneamente con

  1. l'emigrazione di parte della popolazione all'estero
  2. l'aiuto umanitario dall'estero
  3. una guerra civile o di occupazione di un paese vicino per sottrarre le risorse divenute scarse nel proprio paese
  4. una carestia, cioè la morte per fame di parte della popolazione

L'aiuto dall'estero può funzionare anche per anni nel caso di paesi relativamente piccoli come Haiti che ha 10 milioni di abitanti ma la conseguenza è che questa isola caraibica è uno dei paesi più poveri e disastrati del mondo.

Dato che nel 2012 era appunto in atto la crisi siriana, andai a verificare quale fosse la situazione del paese a livello agricolo e scoprii che negli anni immediatamente precedenti alla guerra civile ci era stata una lunga siccità che aveva reso inabitabile la parte orientale del paese probabilmente a causa dei cambiamenti climatici. Molti contadini e allevatori disperati si erano così riversati nelle città della costa creando malcontento e instabilità politica su cui poi aveva attecchitto la rivoluzione.

Andai così alla ricerca di altri paesi poveri nei quali la popolazione stava crescendo, la produzione alimentare era scarsa e dove c'erano altri problemi che potevano innescare una crisi sistemica.

Il paese che aveva le caratteristiche peggiori secondo la mia analisi era lo Yemen. Ha oltre 24 milioni di abitanti, è povero, la produzione agricola è molto scarsa, la produzione petrolifera è in calo da anni e soprattutto sta letteralmente finendo l'acqua.

Senza petrolio per comprare acqua e cibo e con il turismo reso sempre più difficile dall'instabilità del paese, il futuro del paese era purtroppo segnato dal mio punto di vista del 2012.

Puntualmente nel 2014 è scoppiata una guerra civile che ha già provocato dieci mila morti e la situazione è quella drammatica descritta nell'infografica sotto.

Può darsi che il governo ufficiale con l'aiuto dell'Arabia Saudita riesca a sconfiggere militarmente i ribelli Houti, ma se anche riescono a riprendere il controllo del paese come faranno a dare da mangiare e da bere a tutti gli abitanti?

Mentre il cibo in qualche modo può essere fornito grazie all'assistenza internazionale, temo sia difficile trovare il consenso per pagare le enormi cifre necessarie per fornire impianti di dissalazioni capaci di fornire acqua a 25 milioni di abitanti.

È molto più probabile che la popolazione locale cerchi in tutti i modi di emigrare nei paesi vicini per scappare da fame e sete ma lo Yemen non ha molti sbocchi: a nord c'è l'Oman e l'Arabia Saudita mentre al di là del mare ci sono altri paesi poveri come Eritrea, Somalia, Egitto, Etiopia. Ricordiamo poi che i maschi yemeniti hanno tutti almeno un kalashnikov e un coltello per cui potrebbero scoppiare nuovi conflitti a catena.

Sempre seguendo la stessa linea di ragionamento avevo notato che la Nigeria era un paese da tenere in particolare attenzione perché ha già 175 milioni di abitanti e uno dei tassi di crescita demografica più elevati del mondo.

Nonostante sia molto fertile e in passato sia stato un esportatore di prodotti agricoli, da vari anni il paese dipende dall'estero per soddisfare la domanda interna di cibo in particolare per importare il riso che è uno degli alimenti base della dieta locale. Il problema è che a nord i cambiamenti climatici stanno facendo avanzare la siccità verso sud togliendo terreno fertile ad agricoltori ed allevatori. Inoltre la crescita delle zone urbanizzate sta avvenendo anche su zone precedentemente agricole, per cui aumenta la domanda e diminuisce l'offerta nazionale di cibo.

Mentre scrivevo la prima edizione del libro, il prezzo del petrolio era elevato per cui il governo riusciva a mantenere un relativo benessere nel paese grazie alla forte produzione nazionale di oro nero. Sapevo però che il governo era molto corrotto e che il paese era dilaniato da conflitti etnici e religiosi per cui insieme allo Yemen la Nigeria era uno dei tre paesi in cima alla mia lista di quelli più a rischio di una crisi sistemica.

Proprio mentre pubblicavo nel 2015 la prima edizione del libro dopo anni di lavoro di ricerca, il prezzo del petrolio è crollato fino a 20 $ al barile, mandando in crisi il governo nigeriano che non era più in grado di pagare i dipendenti pubblici e garantire il controllo del territorio. Ci sono infatti almeno tre gruppi diversi di ribelli che hanno il controllo ciascuno di parte del paese, il più celebre dei quali è il famigerato Boko Haram.

Non sappiamo ancora se è già in corso la crisi irreversibile da me prevista, perché ad esempio un rialzo del prezzo del petrolio o un'altro evento positivo inaspettato potrebbe dare ancora qualche anno di parziale stabilità, ma se non si interviene per ridurre nettamente la crescita demografica, disarmare i ribelli e aumentare la produzione alimentare locale, non riesco ad immaginare come si possa evitare l'emigrazione di massa di decine di milioni di nigeriani verso nord per raggiungere l'Europa o nei paesi vicini del Golfo di Guinea.

Mentre la Siria aveva 20 milioni di abitanti, la Nigeria ne ha 175 milioni, quindi le conseguenze di un forte processo di emigrazione sarebbero incalcolabili.

In questa seconda edizione del libro ho aggiornato tutti i dati e le mie analisi fornendo nuove previsioni sui trend in atto sia a livello economico che ambientale e naturalmente ho indicato quali sono gli Stati dove vedo maggiore pericolo di una crisi irreversibile.

Purtroppo nel frattempo anche il terzo paese nella lista dei tre paesi più a rischio da me individuati nella prima edizione del libro ha dato un segnale molto forte che una crisi pesante potrebbe essere imminente.

In questo articolo ho sottolineato come difendersi dai problemi geopolitici dei prossimi anni sapendo quali paesi tenere d'occhio, ma il mio libro è improntato ad un leggero ottimismo perché in generale ci sono anche tante tendenze positive in atto e abbiamo gli strumenti tecnologici e politici per intervenire.

Infine ciascuno di noi ha la possibilità di contribuire significativamente a fermare i cambiamenti climatici innescando un cosiddetto effetto moltiplicatore, come spiego nel mio libro e durante le presentazioni pubbliche che sto organizzando in giro per l'Italia.

Il ricavato del libro viene usato interamente per piantare alberi da frutto in Armenia, un progetto di compensazione delle emissioni di gas serra gestito da una famiglia di contadini che ho conosciuto personalmente durante la mia visita nel paese e che attuano il modello della "permacultura" per aumentare la fertilità del terreno e catturare l'anidrire carbonica dell'aria nel terreno. Per ogni copia venduta viene piantato un albero.

Insieme possiamo vincere le tre sfide della nostra generazione.






Edoardo Mantovani

Technical Support Engineer at Sophos

8 anni

ciao Sergio, non sapevo di questa tua passione per la geopolitica, articolo interrssante anche se immagino che i dettagli poi siano tutti nel libro. Quando torno dalla Cina magari ci di fa un caffè...

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