Decidere è un po come uccidere
Superata l'epoca dei pianti famelici, dei piagnistei e dei capricci, tipica di infanzia, quella dei musi lunghi, dei piedi puntati e dei colpi di di testa, tipica dell'adolescenza, anche l'età adulta continua ad affliggere se stessa e gli altri attraverso frequenti insoddisfazioni che riguardano la capacità di prendere delle decisioni serene, soprattutto in riferimento al chiedere e al dare, al farsi domande e darsi risposte. La realtà è che, nel nostro essere umani, non possiamo avere tutto: dobbiamo scegliere. Quando guardiamo da lato, rinunciamo a guardare dall'altro, almeno nello stesso momento. Tutto ciò sembra semplice e invece molte volte risulta complicato. Ogni scelta porta con sé una rinuncia.
Possono essere rinunce razionali, salvifiche e amare, come la medicina, oppure combattute e nostalgiche, come il non sapere cosa sarebbe successo se.... oppure piene di invidia, perché non saremo mai come loro che sembra che hanno “tutto”, dimenticando che anche le vite "perfette" implicano mille rinunce. Tutte le vite terrene sono il frutto di una scelta, di una combinazione che, a un certo punto, avviene, dalle basi azotate del DNA alla mela di Eva.
E niente di tutto questo è male: è solo la semplice accettazione che non siamo onnipotenti, che la nostra vita è sempre un cammino che si apre di volta in volta, permettendoci di prendere altre direzioni. Per questo è naturale provare paura per l'ignoto o tristezza per ciò che ci lasciamo alle spalle tuttavia, ogni volta che con coraggio e sicurezza lasciamo una zona di comfort, è per un disagio che ci invita a rettificare, a migliorare, a crescere, a sanare.
La vita è un cammino e, senza tutti i chilometri percorsi, non saresti dove sei ora, non potresti vederla o ringraziarla.
Forse fu questa la maggiore cecità di Caino...
Si, irrompo con una citazione biblica, che in realtà appariva già nell'immagine di copertina, per proporvi un salto logico. Caino ed Abele, oltre a essere i figli di Adamo ed Eva, sono due fratelli complementari: il primo si occupa della coltivazione della terra, il secondo dell'allevamento delle greggi. Insieme sono le parti di un tutto, di quel lavorerai con sudore imposto dal nonno, il Padre Eterno. L'ira di Caino nasce dall'inspiegabile preferenza, del nonno onnipotente appunto, per le offerte del fratello. Questo è l'episodio che, secondo le scritture, scatena le emozioni di gelosia e invidia che "spingono" Caino ad uccidere Abele: in mente sua, Dio aveva scelto l'altro e non lui, e i tempi dell'umanità erano ancora troppo acerbi per superare, intellettualmente, l'illusorietà del dualismo.
Approfondendo il tema, grazie all'articolo che ho trovato allegato all'immagine di copertina di cui sopra, scopro che nel Midrash, antico metodo rabbinico di studio della Torah, questa uccisione avviene attraverso un morso. In questa versione, l'azione peccaminosa di Caino è dunque la stessa di quella dei suoi genitori: roba da costellazioni familiari! Certo il movente era diverso, tuttavia, l'azione del mordere sembra fortemente legata all'atto di assumere le conseguenze della scelta, incorporare il pensiero nella vita.
Nel morso c'è la morte, che masticando, permette la vita.
Vi propongo un nuovo salto. Nel suo libro "L'io, la fame e l'aggressività" (1947) Friz Perls, il padre della psicoterapia della Gestalt, racconta di come l'uomo, per poter trarre nutrimento dal mondo circostante, utilizza tre modalità diverse, con un grado di complessità crescente:
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Oltre alla complessità meccanica del movimento, secondo Perls, quello che cambia è il tipo di introiezione, ossia la modalità di incorporare pensieri, sentimenti, atteggiamenti e pene altrui. Detto in altre parole, smettendo di berci tutto quello che ci propinano, iniziamo a decidere distinguendo tra almeno due differenze, dentro e fuori, io e non io, piacevole e spiacevole. Decidendo, la realtà si divide, dunque si dimezza o si raddoppia, comunque si taglia, e tagliando diventiamo visibili, emergiamo dallo sfondo, prendiamo senso, oltre che nutrimento, diventiamo figura, persona, acquisiamo identità. Siamo quel che mangiamo, ossia il frutto delle nostre decisioni. Pesandoci bene, anche linguisticamente "decidere", "recidere", "incidere" e "uccidere", sono accomunate dall'idea di tagliare, come "scegliere", dal latino ex-ligere, slegare, così come "eleggere", e questo lo sanno bene gli spagnoli per i quali ogni scelta è una "elección".
E quindi, dov'è il problema?
Il problema, secondo Perls, è duplice: sta sia nella nostra difficoltà a scegliere, e quindi a mordere, che, successivamente, a masticare. Decidere è incidere, è tirare il sasso e le mie scelte possono ferire e rischiano di farmi ferire, rendendomi visibile alle conseguenti decisioni altrui. Non decidere, allora, può diventare molto allettante, perché rimanendo nel proprio nascondiglio, nido, tana, sottana o utero, chiunque può riuscire a proteggere se stesso, e gli altri, da se stesso. Anche l'Eden che ci era stato riservato era una situazione protetta che i nostri rappresentanti, per via della loro decisione, incisione, morso, hanno reso incompatibile con il genere umano. Poi c'è la masticazione, e li la questione è continuare, dopo aver lanciato il sasso, senza nascondere la mano, anzi... lì avviene l'integrazione, il cibo può diventare nutrimento, prendersi la responsabilità di trasformare la morte in vita, di portare al mondo noi stessi e i nostri frutti da far mordere e contribuire alla ciclicità del tutto.
Ma poi, è davvero possibile sopravvivere senza mordere?
Io direi di no, proprio in virtù del nostro qui e ora, in cui siamo rimasti con la mela in mano. Ho l'impressione che il nostro sia un problema di accettazione di quello che siamo. Mordere è un'azione così mal vista che preferiamo tornare indietro, alla fase precedente, quando ci bevevamo tutto, per poi sentirci frustrati e tornare a mordere, carichi di risentimento. Eppure sappiamo che mordere è necessario, e non solo per il tipo di dentatura che abbiamo ma anche perchè è una parte del processo di assimilazione e digestione. Fuor di metafora, troppo spesso scambiamo aggressività per violenza e ci illudiamo di poter fare a meno del conflitto, sia interiore che esteriore. Quello che la tesi di Perls promuove è un tipo di aggressività sana, diversa dalla violenza, perché fatta di conflitti colti con consapevolezza dei propri e altrui bisogni e che non si inaspriscono proprio perché collegati alla maturazione di entrambe le parti coinvolte. Esiste un morso naturale, evolutivo, che permette a tutti di accedere a ciò di cui abbiamo bisogno e che è disponibile in quantità. Allo stesso modo esiste una masticazione prolungata, in cui non c'è fretta di ingoiare bocconi amari o sfuggenti, che ci libera dalle tossine di ciò che fa parte del mondo e che non ci appartiene. Porre attenzione alla nostra masticazione significa dare fiducia all'integrazione delle scelte che facciamo rispetto alla nostra essenza, e delle parti con il tutto, in un eterno divenire intenzionale e nonviolento. Fratelli e sorrelle, un altro Eden è possibile!
Esiste veramente la possibilità di ricreare un Paradiso in terra?
Concludendo, io credo di si, ed è un Paradiso diverso, fatto di mele, di pere, di denti, unghie, mani, stomaci e quant'altro ci serve per trasformare noi stessi e ciò che ci circonda. Per ritrovarsi in questo Eden l'attenzione va spostata dal cosa esso sia a come ci si vive. Il come specifica il cosa, credo che non mi stancherò mai di dirlo, e il "come" che non ci appartiene più è quello in cui la nostra sopravvivenza dipendeva dal saperci bere solo quello che voleva Dio, la società o la mamma. La felice novità è che né Dio, né la società, né la mamma vogliono questo da noi, perché qualsiasi cordone ombelicale limiterebbe la mobilità e la sopravvivenza di entrambe le parti in gioco. Allo stesso tempo, la soluzione non sta semplicemente nel "darci un taglio", ma nel prendere consapevolezza del valore della differenza che si riflette anche in noi stessi e nell'irriducibile distanza percettiva, emotiva, fisica e mentale di ogni essere umano. In fin dei conti, anche il creatore aggredì Adamo strappandogli una costola a riprova del fatto che l'evoluzione ha bisogno di continue incisioni/decisioni/morti per poter trasformare la materia.
C'è di che essere ottimisti?
Credo che oggi, anche grazie alla democrazia, sappiamo essere statisticamente più decisivi di un tempo. Selezioniamo e fagocitiamo con più disinvoltura, con minore vergogna e sensi di colpa, tuttavia ho l'impressione che c'è ancora qualcosa che non va: il nostro Caino ha ancora bisogno di un Abele per sopravvivere. Oltre ai residui di paura di mordere e di essere morsi, e lo scetticismo rispetto alla possibilità che ciò possa avvenire in maniera pacifica, compassionevole e costruttiva, c'è il terrore del masticare e dell'essere masticati, di divenire un bolo caotico, disordinato e sacrilego. Eppure è dal bolo indistinto che il corpo riesce a nutrire tutte le differenti parti del corpo. Per ora mi fermo qui, l'anarchia mi sta divorando. Preferisco ribadire il concetto di ridare dignità al morso, liberarci dalla paura di ferire o essere feriti, accettare la nostra e altrui vulnerabilità ed evitare di farci violenza e di infliggerla.
L'immagine di copertina è tratta dall'opera di William Blake - "The Body of Abel Found by Adam and Eve"