Il valore delle cose, ed il Gap Commerciale
Esiste un fenomeno sfavorevole che si crea tra il “Venditore” ovvero colui che mette in vendita un servizio o un bene, quindi colui che genera un prodotto, e l’utilizzatore di quel bene o servizio, ovvero il “Cliente o Consumatore” del prodotto.
Quando i due citati protagonisti s’incontrano (Venditore e Consumatore), avviene una negoziazione, cioè il procedimento che porta alla compravendita o scambio del prodotto. Questo scambio avviene tra chi possiede dei soldi ed è disposto ad acquistare il prodotto che gli occorre, e chi offre il bene o servizio in cambio appunto dei soldi.
Questa trattativa avviene perché ogni prodotto ha un suo valore, e le persone hanno bisogno delle cose (prodotti).
La trattativa va a buon fine quando si trova il punto di pareggio tra valore del prodotto e disponibilità ad acquistarlo.
Ma quando questo non avviene?
Oggi infatti vi parlerò brevemente del valore del prodotto, e del fenomeno che spesso si crea nella compravendita che non va a buon fine: il “Gap commerciale”.
Per prima cosa va chiarito come si stabilisce il valore di un prodotto?
Per stabilire il prezzo di vendita di un prodotto (o tariffa per un servizio), esistono diversi criteri, tuttavia per impostare il prezzo di vendita iniziale sul mercato bisogna determinare tre fattori:
Quantificare il costo per realizzare il prodotto.
Capire quali sono le esigenze del mercato rispetto al prodotto creato, per capire quanto sarebbe disposto a spendere.
Identificare il valore reale del prodotto che metteremo nel mercato.
Per quantificare il costo del prodotto, in linea generale occorre quantificare tutti i costi generati per realizzare il prodotto, non dimenticando di aggiungere anche i costi di manodopera, nonché le ore impiegate per dar vita al prodotto, includere le tasse previste per la vendita del prodotto, e laddove necessario, considerare anche i costi per promuovere il prodotto.
A questo punto occorre aggiungere un’ultima cosa, “il margine di guadagno”.
Qui nasce la parte più oscura, confusa e spesso anche più contorta.
Sì, perché il margine di guadagno viene solitamente calcolato inserendo un minimo che può partire dal 15%, fino ad un 50% in più rispetto ai costi totali, ma in base al tipo di prodotto, questo margine potrebbe anche alzarsi di tanto, in certi casi arrivando anche al 100 o 200% in più rispetto ai costi, ed in altri casi alzarsi ancora di più.
C’è chi per considerare un giusto margine di guadagno, adotta un sistema di calcolo molto semplice. Moltiplica per tre il costo della materia prima incluso di manodopera e tasse.
Il risultato ottenuto corrisponderebbe al prezzo di vendita.
La differenza dei costi totali ed il prezzo di vendita stabilito, è il margine di guadagno.
Tuttavia questa stima non potrebbe essere presa come metro di valutazione per le vendite di tutti i prodotti in commercio, ecco perché c'è chi è disposto a mettere un margine di guadagno a volte anche oltre il 100%.
Ma per sapere se il prezzo stabilito del proprio prodotto è corretto, basterebbe confrontarsi con la concorrenza. Se i prezzi della concorrenza dovessero risultare in linea con il prezzo stabilito del nostro prodotto, potremmo dire di aver trovato un prezzo attendibile.
Se così non fosse, bisognerebbe capire cosa sta influendo negativamente nei nostri costi di produzione rispetto ai competitor.
Perché il valore di un bene o di un servizio e quindi il suo prezzo, viene stabilito anche dal numero di transazioni, ovvero dalle abitudini di consumo, utilizzo e acquisto che un consumatore medio ha.
Quando le vendite rischiano di non decollare pur avendo certezza che il prodotto da noi creato è richiesto dal mercato, la spiegazione potrebbe trovarsi nel “Gap commerciale”.
Infatti, c’è un’ulteriore metodo che troppo spesso i venditori utilizzano per fissare il valore del servizio o del bene (prodotto) che offrono.
Esistono parecchi venditori che decidono il prezzo del proprio prodotto in base al proprio “ego”.
Questi venditori, rimanendo psicologicamente legati agli sforzi impiegati nel creare il prodotto, o peggio, convinti che il loro prodotto sia unico e solo, quindi il migliore di tutti per il semplice fatto che siano stati loro a generarlo, conferiscono al proprio prodotto un valore commerciale che va oltre la reale stima economica, appunto aggiungendo con spavalderia quel plus del 100 o anche 200% rispetto al reale costo.
Se infatti il consumatore percepisce questa sopravvalutazione, preferisce non acquistare il prodotto.
Questo crea un gap commerciale.
Di conseguenza avviene un rallentamento delle vendite e ciò che di negativo né scaturisce.
Diversamente, riuscire a comunicare e far percepire al mercato un alto valore del proprio prodotto, fa si che il cliente sia disposto a pagare un prezzo più alto da noi, rispetto ad un prezzo più basso dalla concorrenza.
In ogni caso, al di là quindi del fatto che il prodotto sia idoneo, esistono diversi fattori che influenzano la domanda, come Il prezzo del prodotto; Il reddito del consumatore; le aspettative dei consumatori; ed infine cosa assai importante, quanto bisogno ha il consumatore del prodotto.
Più il prezzo di un bene o servizio è alto, meno ne viene richiesto. Viceversa più un bene o servizio è a buon mercato, più ne viene venduto.
La domanda nasce quindi spontanea: Quanti acquisterebbero i prodotti del venditore che ha imposto prezzi alti, se questo però li rivalutasse?
Il “gap commerciale” è quindi il dislivello o la disuguaglianza esistente tra il valore che assegna il venditore del prodotto, e la somma che il consumatore sarebbe disposto a spendere.
In sintesi: nel mercato c’è un prodotto disponibile, ma non viene acquistato pur se ci sono compratori disposti a spendere, perché il loro potere d’acquisto o non corrisponde alla somma richiesta dal venditore, o perché sono loro a non reputare idoneo il valore del prodotto in commercio.
La differente veduta di vista, crea lo sbilanciamento tra il prezzo imposto dal venditore, e la volontà di acquistare il bene o servizio che ha il consumatore.
Tale squilibrio potrebbe facilmente risolversi se da entrambi i lati venisse percepito e rispettato il basilare principio della compravendita.
La compravendita deve soddisfare un desiderio o un bisogno, fornendo, assicurando ed appagando un beneficio a chi lo richiede in cambio di una equa somma pattuita.
Il valore di parità si raggiunge tramite la considerazione valutativa dei beni scambiati.
Il valore delle merci scambiate deve corrispondere al mutuo fabbisogno di entrambi.
Lo scopo di ogni scambio è quindi soddisfare i bisogni delle parti.
Il problema si pone però, quando il commerciante mette nel suo calderone di valutazione anche aspetti emotivi estranei alla creazione del prodotto, creando in se stesso delle aspettative di stima fuori dal normale.
Questo è tipico in chi vende.
Dall’altro lato è anche tipico di chi acquista, nel caso del “consumatore” di non interessarsi dei costi di gestione a cui deve sottostare il commerciante. Figurarsi quindi se il consumatore possa considera le ragioni emotive del venditore.
Al consumatore del resto, importa solo di acquistare il prodotto al miglior prezzo di mercato.
Il paradosso però è reale, perché se invertissimo le parti, le mancanza di comprensione sarebbero identiche.
Mi spiego meglio…
Il commerciante oltre essere venditore, è anche cliente rispetto a chi gli vende la materia prima utili per realizzare il prodotto che vende.
Nell’esatta fase di negoziazione con il suo fornitore, il venditore veste quindi i panni di cliente.
In questa fase, essendo lui il cliente, gli importa solo di acquistare il prodotto al miglior prezzo di mercato, cercando di tirare il più possibile per se stesso, senza valutare i costi che deve affrontare il suo fornitore/venditore.
Lo stesso accade al consumatore, che a sua volta dopo aver acquistato dal venditore, potrebbe rivestire anch’esso i panni di un commerciante, pretendendo che il suo prodotto venga acquistato ad un prezzo elevato solo perché si tratta del suo prodotto.
La questione diventa quindi irrisolvibile per il semplice fatto che chiunque (venditore e cliente), siano mossi più dal proprio ego che emozionalmente influenza la negoziazione, creando un divario tra sentimenti e la logica della compravendita.
Ecco perché, oggigiorno occorre una forte attenzione per tutelare la rispettabilità di chi vende, e la dignità di chi compra.
Da diversi anni si sta infatti sensibilizzando ad un commercio equosolidale, più noto come Fair Trade. In realtà il Fair Trade punta anche ad attivare pratiche ecologiche e sostenibili nella produzione dei prodotti, tutelando le condizioni dei lavoratori impiegati alla realizzazione dei prodotti, e rispettando l’ambiente, per contribuire in questo modo ad uno sviluppo solidale sotto ogni punto di vista.
Il consiglio è quindi, per il venditore di accentuare l’affidabilità nell’erogazione del proprio prodotto, attuando una politica di trasparenza nei propri prezzi, avendo anche un comportamento etico verso la concorrenza.
Il consumatore di conseguenza imparerebbe a fidarsi del venditore
Ciò consoliderebbe e rafforzerebbe i rapporti tra l’uno e l’altro, comprendendosi e venendosi incontro per un mutuo fabbisogno comune.
In questo modo si costituirebbe una virtuosa funzionalità per scambi di qualità, e quindi una migliore garanzia per entrambi.
A questo punto, buona compravendita a tutti voi!
Luca Trovato