Si tratta di una ripetizione invariata e costante di uno schema.
Il testo sottostante è la mia prefazione al libro del fotografo Eugenio Marongiu edito da Around Gallery. Eugenio dal 2012 è impegnato nella produzione fotografica commerciale di ritratto e lifestyle per aziende, brand e agenzie di stock. Fotografa quelli che vengono comunemente definiti "stereotipi".
At the end of the Italian version you will find the English one
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Quale è il primo stereotipo a cui siamo sottoposti? Il linguaggio. Come ricorda il filosofo Carlo Sini che affronta il tema in diversi suoi scritti[1], gli idiomi di una lingua sono il primo strumento che l’uomo ha a disposizione quando nasce per relazionarsi col mondo. Dei simboli di uso comune che servono per dialogare: se non avessimo definito delle convenzioni per “chiamare” le cose intorno a noi, non potremmo farci comprendere, né confrontarci, in ultima istanza non potremmo vivere in comunità. Come tutti gli strumenti, il linguaggio è indispensabile per esplorare la realtà e trarne nuova conoscenza. Un potere sconfinato, connesso a un enorme pericolo: attraverso di esso è possibile diffondere messaggi sconvenienti, piegare le coscienze a scopi lontani dal benessere comune.
Al giorno d’oggi questo “side effect” è evidente soprattutto con riguardo alla tecnologia. Anch’essa lavora per stereotipi: gli algoritmi sono schemi formati da una serie di passaggi precostituiti che ripetendosi determinano la soluzione a un calcolo. Gli algoritmi alimentano la diffusione di informazioni, siano esse testi o immagini, e diventano pericolosi quando privilegiano solo alcuni dati, basandosi su dei pregiudizi. Vi è solo una soluzione a questo difetto congenito alle macchine: istruirle con una varietà più ampia possibile di schemi.
Qui si inserisce il progetto di Eugenio Marongiu. Le sue immagine potrebbero essere definite degli stereotipi. È così che funzionano gli archivi di stock, è quello che cercano i pubblicitari che li consultano: stereotipi di identità. Di una donna, di una mamma, di una famiglia, di un padre, un figlio adolescente, e così via in funzione delle persone – il “target” – a cui la pubblicità si rivolge, le quali devono sentirsi rappresentate affinché comprino i prodotti pubblicizzati. L’advertising è stato spesso accusato di alimentare stereotipi: quelli di genere, di stato sociale.
Eppure, comprendiamo come gli schemi siano fondamentali per relazionarci. Uno stereotipo non è di per sé elemento negativo. Riguardo al linguaggio, e all’importanza che esso ha nell’unire persone e culture, caso emblematico è l’Esperanto, una lingua con ambizioni pacifiste e internazionaliste, che nell’intenzione dei suo promotori – tra cui l’UNESCO – dovrà essere strumento di pace tra i popoli. Questa lingua si distingue per una caratteristica: la semplicità. Vediamo quindi come le semplificazioni, i comuni denominatori, siano cruciali per auspicare una comprensione tra i più.
Tornando all’opera del fotografo, essa è spinta da una costante ricerca sull’immagine, sulla varietà di “stereotipi” rinvenibili nella società moderna: sfumature di culture diverse, di modi di vivere, di ambizioni sociali. È questa incessante indagine a mettere in discussione la definizione stessa di “stock image” con riferimento al lavoro di Eugenio Marongiu. La sua attività si pone agli antipodi del concetto di ripetizione. Al contrario, nella mente e nella lente dell’autore vi è il desiderio di ritrovare, in ogni fotografia, una diversità. Ecco che davanti alle query “ragazza che ascolta musica” o “coppia”, le search result che appaiono a chi consulta archivi contenenti le immagini di Eugenio saranno differenti. Talvolta nettamente.
Eugenio dunque istruisce gli algoritmi, fornendogli sempre più definizioni variegate di modelli umani. È garante di una varietà talmente ampia di stereotipi da scongiurare il pregiudizio, il modello convenzionale e precostituito di identità.
Sempre nella Treccani, alla voce stereòtipo si legge: impersonale, inespressivo, perché detto o fatto senza partecipazione. A questo punto possiamo definitivamente considerare l’autore e la sua opera lontana da questa definizione. La passione di Eugenio è tangibile: nessun altro sentimento potrebbe guidarlo nel rigore della sua inchiesta, totalizzante, sulla vita. Il lavoro che si compie nell’atto dello scatto ha inizio giorni, mesi prima. È questo sentimento tanto umano da rendere unica ogni singola immagine e di cruciale importanza per la destinazione finale: la rete.
L’astronauta che, sul finale o forse sin dall’inizio, osserva l’umanità del libro potrebbe essere proprio l’algoritmo. Inevitabilmente e involontariamente partecipe delle vicende umane, desideroso di un’integrazione rispettosa delle sue caratteristiche e allo stesso tempo utile al popolo a cui si congiunge. Quell’astronauta sa che l’unica possibilità di positiva conquista del mondo nuovo che lo accoglie e lo governa gliela possono offrire gli uomini: l’amore.
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Stereotype, from the Oxford English Dictionary: A conventional, formulaic and oversimplified conception, opinion or image.
Stereotype means repeating invariably and constantly a pattern.
What's the first stereotype we're submitted to? Language. As philosopher Carlo Sini says (he discussed this topic in several of his writings) a language idioms are the first tools man can use at birth to relate to the world. Shared symbols used for dialogue: hadn't we agreed about names for the objects surrounding us, we wouldn't be able to make ourselves understood, nor confront one another. We wouldn't be able to live in a society at all. Like every tool, language is essential to explore reality and acquire new knowledge. An incredible power, and at the same time a terrible danger: language may be used for the diffusion of negative messages, and to bend our conscience towards aims far removed from our shared good.
As of today, this side effect is particularly obvious with regard to technology. Technology works with stereotypes too: algorithms are patterns in which a series of predetermined passages are repeated in order to obtain t h e result of a calculation. Algorithms work for the spreading of information, in words or images; algorithms become dangerous when, out of prejudice, data are only partially conveyed. There is only one possible solution to this inbred problem with machines: endowing machines with the widest possible number of patterns.
Here is where Eugenio Marongiu's project takes off. His images could be called stereotypes. This is the way stock archives are used, this is what advertising agents are looking for when they consult them: identity stereotypes. Of a woman, of a mother, of a family, of a father, of a teen age son, and so on, according to the people- the target- to whom the ad is addressed. People must feel represented, in order to buy the product in the ad. Advertising has often been accused of nurturing stereotypes, gender or social status stereotypes.
Nevertheless, it's easy to understand the basic role of patterns in building relations.
A stereotype is not in itself a negative element. Regarding language, and its importance in connecting people and cultures, a significant example is Esperanto, a language that was born with pacifistic and internationalist ambitions, intended by its promoters, among which Unesco, as an instrument of peace among people. This language is conceived with one peculiar quality: simplicity. It's obvious here how simplification and common denominators are crucial to promote understanding between as many people as possible.
Back to the photographer’s work, inspiration comes from a never-ending research about image, about the number of stereotypes in modern society: nuances of different cultures, ways of life, social ambition. This never-ending research itself is what challenges the very definition of “stock image” in reference to Eugenio Marongiu’s work. His activity stands worlds apart from the idea of repetition. On the contrary, on the author’s mind and in his lens one can see the effort of finding, in every photography, diversity. This is why the query “girl listening to music” or “couple” will give different “search results” every time the archives containing Eugenio Marongiu’s images are consulted. At times strikingly different results.
Eugenio instructs algorithms, using more and more diversified definitions of human models. He warrants such a wide range of stereotypes, that prejudice, the conventional and predefined model of identity, is held off.
In the Treccani Italian dictionary , the definition for stereotype reads: impersonal, inexpressive, said or done without any involvement. At this point we can definitely consider our author and his work far from this definition. Eugenio’s passion is palpable: no other feeling could act as a guide in his accurate, completely absorbing, inquiry about life. The work culminating in the act of photographing starts days, months earlier. This so-human feeling makes every single image unique and makes it crucially important for its final destination: the web.
The astronaut keeping an eye at the end, or maybe from the start, on the humaneness of this book, may be algorithm itself. Necessarily and unintentionally involved in human events, eager for an integration both able to respect its own peculiarities and useful to the people it joins. Our astronaut is aware that the only possibility of winning over the new world at one time welcoming and guiding him, can only come from man: and that possibility is love.
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[1] Semiotica e filosofia: segno e linguaggio in Peirce, Nietzsche, Heidegger e Foucault (Il Mulino, Bologna 1978, 1990) Scrivere il silenzio: Wittgenstein e il problema del linguaggio (Egea, Milano 1994, Castelvecchi, Roma 2013)
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