Chi ha ragione?
Non so dire di no: faccio fatica a dirlo, non sono brava a motivarlo e quando, finalmente, mi convinco che è l’unica risposta che posso dare, succede che divento antipatica. È il mio punto più debole e, spesso, mi mette nei casini.
La settimana scorsa ho avuto la meravigliosa occasione di esplorare questo punto e di ascoltarmi. Ho sentito una miriade di pensieri. Tutti miei, tutti nudi, tutti senza senso.
Cosa è successo? ho ricevuto una telefonata inaspettata di una persona che mi ha fatto una proposta di lavoro (ancora più inaspettata).
Chi mi ha chiamato? una persona di grande spessore che ho incontrato in passato e che stimo moltissimo. Ne ho apprezzato (e invidiato) da subito la forza, la determinazione e la competenza. È una persona che non sento regolarmente e che non frequento, quindi la sorpresa è stata grande.
Che proposta è? un incarico nell’ambito della vendita di un servizio, molto specifico e indirizzato ad un target molto ristretto.
In che settore? Un ambito che non mi ha mai attratto, mai incuriosito e su cui non ho mai avuto nè sogni né aspettative. È una cosa su cui non so molto e di cui, sinceramente, non mi interessa molto.
La riunione delle VOCI è iniziata già mentre ero al telefono, già sentivo le diverse emozioni: alcune mi trattenevano (mi fermavano le domande in gola), altre mi spingevano e mi chiedevano di assecondare la richiesta, di compiacere questa persona. Una confusione di pensieri pazzesca.
Se ha chiamato me significa ha una buona opinione di me. Vuol dire che ce la posso fare. Che figata che abbia pensato a me. Ma lavorare in quell’ambito non mi va, non mi è mai piaciuto. Ma scusa Ale, non avevamo detto che avremmo scelto proprio i lavori per cui ci sentivamo totalmente inadeguate, non ti ricordi? Questo è perfetto, è difficile e nemmeno ci piace. Il massimo del disagio. È la sfida. Sì ma non è un’autopunizione. Ma devo farlo altrimenti non sono coerente. Ma se dico di no magari cambierà idea su di me. Non solo non mi proporrà mai più niente, ma mi cancellerà dalla lista e scriverà che sfigata questa. Fatti dire almeno di cosa si tratta il lavoro, magari siamo brave. È la vendita, ormai abbiamo capito come funziona. Ok, dai prendi appunti. No, ma che cos’è ‘sta roba. Io non voglio farlo. È difficile. Ma non è vero che è difficile, una volta capito il meccanismo si va. Ma non siamo credibili noi a vendere ’sta cosa. Allora diciamo che non ci interessa. Ma cosa vuol dire non ci interessa? Ci interessa è lavoro. Vogliamo provarci almeno? Allora, non è che possiamo fare un tentativo, se diciamo di sì, si fa e basta. Non è che fra 3 settimane lasciamo. A me non piace. Io credo invece che ci metta alla prova e, come sempre, impareremo qualcosa e cresceremo. Il problema è dire di no, sai che non sei brava. Però devo imparare. Ma se dico che non mi interessa, sembro scema, ma allora perché mi sono fatta raccontare il lavoro? Se dici che non ti piace, penserà che sei una chiusa che non ama fare cosa diverse. Non mi va che perda stima di me. Ma che ce ne frega, magari non ci incontreremo mai più. Secondo me è un’occasione...
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Le ho fatte parlare, tutte quante e intanto io scrivevo tutto quello che dicevano. Poi ho riletto gli appunti e ho fatto un po’ di ordine. Una parte di loro vuole dire di sì, per motivi diversi però: qualcuna per essere coerenti con la #15JobsChallenge, qualcuna perché è un incarico difficile e apparentemente impossibile e, quindi, se lo completiamo aumenterà di molto la mia autostima. Qualcuna per non deludere quella persona, per non sembrare scema, per non finire nel suo dimenticatoio.
Alle altre invece non piace questo incarico: qualcuna crede che sia un ambito non interessante e troppo di nicchia, qualcuna che ci voglia troppo tempo per sembrare credibili in quel settore e che riusciremo ad acquisire quel lessico solo tra 6 mesi! Qualcuna crede che sia folle infilarci per forza in qualcosa che non ci piace.
Tutte esprimono qualcosa che è mio e solo mio: emozioni, desideri, paure, intenzioni. Tutte hanno ragione anche se qualcuna urla più forte e qualcun'altra invece parla a voce bassissima che quasi non si sente. Tutte sono nella mia testa e nessuna esiste davvero. Le ascolto però e mi rendo conto di come funziono.
E come una mamma che ascolta un litigio e i capricci annessi, prendo distanza e capisco che non posso prendere le mie decisioni basandomi su quello che penseranno gli altri, ma solo su ciò che “voglio” per me, su ciò che IO voglio vedere quando mi guardo allo specchio. Mi rendo conto non voglio vivere questa Challenge come una punizione inesorabile che per forza mi faccia sanguinare, anche se so che per avere la pelle più spessa l’unico modo è ferirsi-e-guarire.
Ho voluto questa #challenge perché sia un’opera d’arte: voglio che mi crei occasioni per crescere e migliorare ma voglio che sia bella da vivere visto che la scelgo ogni giorno.
Voglio sfide difficili sì, ma voglio che mi ”accendano”: voglio che generino dentro di me energia, curiosità e voglia di imparare, che poi sono le 3 cose che mi rendono ME.
Dirò di no a quella proposta. Perché non va nella direzione in cui io voglio sbocciare. Ma dico di sì a tutte le mie Ale, continuate a parlare dentro di me e mostratemi di cosa ho bisogno.