QUALI SONO I RISCHI CHE LE NEUROSCIENZE DEVONO CONSIDERARE NEL RAPPORTO UOMO-MACCHINA E NELLO SVILUPPO DELLE IA
L'essere umano se fosse in grado di utilizzare il 100% delle sue reti neurali, potrebbe superare i computer quantistici e l'IA, il problema è che attualmente è in grado di utilizzare circa il 3-5% delle sue reti, per questo motivo attualmente i super computer e l'IA superano l'uomo nella potenza e velocità di calcolo, nella capacità di immagazzinare informazioni, senza correre il rischio di cadere preda di movimenti affettivi irrazionali. Il sistema di IA, nella costruzione delle sue reti, utilizza lo stesso processo di costruzione che utilizza il nostro cervello e che le neuroscienze hanno iniziato a comprendere dagli inizi del 2000, ovvero il modello Scale Free (modello a scale libere), questo sistema si è evoluto con la nostra specie, è pratico ed efficiente, inoltre rende il nostro cervello una macchina che sa utilizzare processi di creazione infiniti, plastico, adattabile e resiliente al danno neurale. La differenza principale con la macchina e l'IA è che gli esseri umani sono esseri affettivi, sono guidati per una buona parte, dalle emozioni e dai sentimenti. Come specie, siamo sottomessi a movimenti affettivi, spesso irrazionali. D’altronde, rispetto alle macchine, abbiamo una buona capacità a decifrare le emozioni e le scariche affettive degli altri. Tutte le sfumature del linguaggio (verbale e corporeo) ci permettono di orientare i nostri rapporti sociali. L’affettività è il perno della nostra psiche ma anche il nostro punto debole nel rapporto con le macchine intelligenti, perché queste ultime non hanno una mente. Non hanno la minima affettività. Sono solo intelligenti. I nostri rapporti con questi dispositivi sono quindi sempre asimmetrici: tendiamo a investire affettivamente la macchina, però il nostro investimento cadrà per forza nel vuoto. Purtroppo, avere una psiche che ci porta a stabilire dei rapporti affettivi può essere fonte di problemi quando imbastiamo una relazione con una macchina che “pensa”.
Attualmente i punti deboli del cervello umano nei confronti dell'IA sono almeno tre: noi pensiamo molto più lentamente, facciamo più errori e siamo spesso guidati dai nostri affetti, emozioni, sentimenti, invece di seguire la ragione. Le macchine intelligenti sono quindi superiori a noi almeno in questi campi. Inoltre, la nostra realtà psichica è continuamente influenzata dall’inconscio, il che ci mette in posizione d’inferiorità nei confronti dell’intelligenza artificiale sul piano cognitivo. Dobbiamo anche considerare che l'essere umano ha la tendenza a entrare in rapporto con l’altro tramite identificazione, ci si può identificare con una persona che amiamo, o di cui abbiamo paura, o di qualcuno che consideriamo più forte di noi. L’identificazione è un meccanismo psichico di cui siamo inconsapevoli, perché è guidato dall’inconscio. Senza rendercene conto, quindi, c’è una buona probabilità che molti di noi s’identificheranno a queste macchine. Sono già stati pubblicati casi clinici nei quali persone riportano di essersi innamorati dell'intelligenza artificiale, o sono dipendenti da essa. Un altro aspetto da prendere in considerazione è quello proposto dal filosofo Jean-Michel Besnier, l'autore considera la possibilità che chi si confronta tutti i giorni con un IA possa iniziare a pensare come lei, secondo un sistema di stimolo/risposta. Se questo accadesse, corrisponderebbe con un buon grado di probabilità, ad un impoverimento dei processi mentali umani, che sono invece più efficienti quando il pensiero procede in modo associativo. Un altro punto centrale è che il nostro inconscio ci spinge a stabilire rapporti di dominanza/sottomissione, ereditati dallo stadio di sviluppo infantile, nonchè filogenetico specie-specifico. Questo significa che la nostra specie corre il rischio d’immaginare che dominerà sempre le macchine che fabbrica, senza riuscirne a prevedere razionalmente i rischi. In questo articolo quindi ritengo che sia necessario valutare l'esistenza di possibili rischi e le loro conseguenze sul rapporto tra cervello e IA, due in particolare:
- Il primo è che avvenga una diminuzione dello spazio mentale indispensabile all’elaborazione dei pensieri, degli affetti e dei vissuti, poiché i sistemi artificiali velocizzano i processi stimolo-risposta inquadrandoli in una serie di pattern possibili ma chiusi, sostanzialmente la macchina intelligente ci spinge a reagire con automatismi, ma con poca elaborazione psichica.
- Il secondo, conseguenza del primo, è la riduzione della capacità creativa umana. La creatività umana è un processo che implica un “elaborazione ricombinativa”. Si tratta di un’elaborazione mentale di contenuti liberati dall’attrazione dell’inconscio che si combinano con altre informazioni (vissuti, desideri, dati sociali e culturali), in particolare con tracce di momenti di benessere vissuti in diversi periodi della vita. Questo lavoro provoca nella mente una ricombinazione di informazioni che si assemblano per costituire un oggetto mentale fonte di un’attività creativa futura dell'ingegno umano.
Quindi le domande a mio avviso da porsi sono:
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- Che cosa accadrà all’elaborazione ricombinativa umana nella situazione in cui la macchina sarà in grado di pensare e l’uomo solo di eseguire senza voler pensare veramente?
La risposta è che non lo sappiamo, poiché finora, l’elaborazione ricombinativa è stata una prerogativa umana.
Dobbiamo porci quindi un altra domanda, forse la più importante:
- La creatività sarà sempre appannaggio dell’essere umano?