Smettetela di chiamare “risorse” le persone che lavorano con voi

Vi è mai capitato di sentire un leader aziendale che dice “Le nostre persone sono la risorsa più importante che abbiamo”?

È una domanda stupida, giusto? Poiché tutti avrete sentito pronunciare una frase del genere, forse anche ieri.

L’idea che le persone siano una risorsa – o come si dice in inglese, un asset – è così “incastrata” nella cultura aziendale, che ormai abbiamo smesso di porci una domanda fondamentale: ma le persone che lavorano in un’azienda sono realmente una risorsa per quell’azienda?

L’attuale tendenza di considerare le persone come asset è, d’altra parte, comprensibile. Secondo i principi contabili internazionali (GAAP) infatti, un asset è una risorsa posseduta dall’azienda che produrrà dei benefici economici.

Nel diciannovesimo secolo gli operai erano considerati come degli “input” al processo produttivo, simile ai materiali utilizzati per produrre il prodotto finito. Nel ventesimo secolo le aziende industriali hanno poi riconosciuto la necessità di avere operai specializzati per poter far funzionare gli impianti produttivi. Nell’economia del ventunesimo secolo le persone sono considerate come la risorsa più importante per far vivere un’“esperienza memorabile” al cliente, per disegnare un prodotto meraviglioso o sviluppare un software super-intelligente.

Quindi le persone sono realmente una risorsa?

Considerare le persone una risorsa aveva senso nel ventesimo secolo, quando Peter Drucker coniò il termine “knowledge worker” alla fine del 1950. Quel termine però non è più adatto per descrivere i talenti che operano nelle aziende del ventunesimo secolo. La conoscenza infatti è diventata una commodity; le informazioni, semplici o complesse, sono disponibili online. Una conoscenza anche sofisticata – dal corporate finance, al software coding, al disegno di chip elettronici – può essere appresa da chiunque, attraverso corsi online, molti dei quali gratuiti.

Nel ventesimo secolo le persone potevano essere considerate una risorsa anche perché, come le macchine, non lasciavano mai l’azienda. Nel ventunesimo secolo invece, le aziende non “rubano” gli impianti ai loro concorrenti, ma non hanno alcuno scrupolo nel “rubare” i talenti. Una survey eseguita da LinkedIn nel 2014 – a cui parteciparono oltre 18.000 persone di 26 paesi – rivelò che il 45% delle persone era stata contattata da un “recruiter” nell’anno precedente e che il 75% aveva dichiarato di essere disponibile a parlare con un recruiter. Possiamo allora considerare le persone come delle “risorse traditrici”? Non proprio.

Ma se le persone non sono una risorsa, cosa sono?

Per rispondere alla domanda dobbiamo considerare cosa motiva il comportamento di noi umani. La ricerca neuroscientifica ha dimostrato che tendiamo maggiormente ad eseguire comportamenti finalizzati ad evitare esperienze negative, piuttosto che comportamenti finalizzati a vivere esperienze positive. È quello che i neuropsicologi chiamano “negativity bias”, il bias della negatività. Per i nostri antenati era certamente più utile, ai fini della loro sopravvivenza, evitare un bastone – cioè un predatore – che trovare una carota – cioè trovare del cibo. Infatti, se per un giorno non si riusciva a trovare una carota, si poteva riprovare il giorno successivo. Se invece nel corso di una giornata non si riusciva ad evitare un bastone…GRRRAAAU…le carote erano finite per sempre.

Come conseguenza, l’amigdala utilizza circa 2/3 dei suoi neuroni per elaborare esperienze negative, e quando il cervello inizia ad elaborarle, esse vengono archiviate velocemente nella memoria di lungo termine. Le esperienze positive invece, devono “persistere” per circa 10-20 secondi prima di essere trasferite dalla memoria di breve a quella di lungo termine. Per questa ragione, il solo fatto di vivere esperienze positive non è sufficiente. Esse passano come l’acqua in un setaccio, mentre le esperienze negative sono “catturate e trattenute” dal cervello. Abbiamo quindi bisogno di vivere un’esperienza positiva più a lungo prima che il cervello la “catturi e la trattenga”.

Il nostro bisogno di evitare esperienze negative piuttosto che il desiderio di vivere esperienze positive, genera quella che gli economisti comportamentali chiamano avversione alla perdita. Per molte persone, la paura di perdere 100 Euro è più intensa del desiderio di guadagnarne 250. Per darvi un esempio di come funziona l’avversione alla perdita, immaginate che io vi chieda di accettare un gioco basato sul lancio di una moneta. Se esce testa, perderete sicuramente 100 Euro.

Quanto vorreste vincere se uscisse croce per accettare di giocare?

Faccio spesso questo test in aula. Molte persone accettano di giocare solamente se potessero vincere almeno 200-250 Euro. Alcuni mi hanno addirittura risposto: “Almeno un milione!”. Si tratta di una estrema avversione alla perdita.

Queste evidenze neuroscientifiche mi portano a dire che le persone debbano essere considerate “investitori” piuttosto che “risorse”. E questo porta numerose conseguenze per i leader aziendali.

  • I leader aziendali devono fornire le informazioni alle persone affinchè queste possano valutare il “Ritorno della loro passione, energia e abilità”

Quando le aziende ricevono capitali dagli investitori, devono utilizzare quelle risorse finanziarie per far crescere l’azienda e comunicare i risultati agli stessi investitori. Gli investitori finanziari utilizzano poi quelle informazioni per valutare se l’azienda sta facendo un uso efficiente del loro investimento, creando così un ritorno economico adeguato.

Come gli investitori investono il loro denaro, le persone investono la loro passione, la loro energia e le loro abilità. Ma quanti sono i progetti che iniziano nella vostra azienda in cui molte delle persone che sono chiamate a farvi parte non conoscono il beneficio che otterrano dal quel progetto? Quasi tutte?

Le persone sceglieranno di investire la loro passione, la loro energia e le loro abilità, se ritengono che potranno ottenere un ritorno adeguato per il loro investimento.

  • I leader aziendali devono comunicare in modo positivo

Poichè le persone hanno bisogno di essere stimolate da esperienze positive per un certo periodo di tempo prima che quell’esperienza possa essere “catturata e trattenuta” dal cervello, è necessario che i leader evochino emozioni positive in modo continuo. Le persone ricordano infatti i commenti negativi con maggiore facilità, maggiore dettaglio, rispetto alle parole incoraggianti. Ricordate, sono necessari 5-10 eventi positivi per bilanciare un singolo evento negativo.

Quando i commenti negativi diventano una preoccupazione, il nostro cervello perde efficienza cognitiva. Questo è il motivo per il quale i leader devono praticare una comunicazione positiva. Devono stimolare l’ottimismo e promuovere la fiducia. Devono focalizzarsi sui piccoli miglioramenti, ottenuti su base giornaliera e dedicare – su base giornaliera – tempo per celebrarli, piuttosto che attendere fino alla fine di un progetto, e poi fino alla fine di quello successivo.

  • I leader aziendali devono comunicare in modo efficace la loro visione

Come i ceo riescono ad attrarre gli investitori comunicando visione e strategia, analogamente devono comunicare nel giusto modo la loro visione alle persone che cercano di guidare. Una visione che incorpori la speranza, i sogni e i desideri di quelle persone.

Tuttavia, se ascoltate i discorsi pronunciati dai leader aziendali, oppure leggete le mail attraverso cui il ceo parla a tutti i dipendenti, le parole che troverete sono parole come vantaggio, soluzione, focus, differenziazione, superiorità. Non c’è nulla di sbagliato nell’uso di queste parole, ma non sono efficaci per ispirare speranze, sogni, desideri. Non fanno venire i brividi alla schiena.

I leader straordinari usano metafore, analogie, raccontano storie e aneddoti. Uno dei discorsi più memorabili dei nostri tempi è quello che fece Martin Luther King il 28 agosto 1963 – meglio noto come “I Have A Dream Speech”. In quel discorso Martin Luther King fece uso abbondante di metafore: “Now is the time to lift our nation from the quicksands of racial injustice to the solid rock of brotherhood” or “I have a dream that one day even the state of Mississippi, a state sweltering with the heat of injustice, sweltering with the heat of oppression, will be transformed into an oasis of freedom and justice”. Guardate e ascoltate il video. Ne vale la pena, fa ancora venire i brividi alla schiena.

Non è più tempo di considerare le persone come delle risorse. Le aziende di successo del ventunesimo secolo richiedono leader che siano in grado di ispirare i loro collaboratori affinchè questi siano disponibili ad investire in azienda tutta la loro passione, tutta la loro energia e tutte le loro abilità. Affinchè questo accada, i leader dovranno smettere di agire come se “le persone sono la nostra più grande risorsa” ed iniziare ad agire come se “le persone sono i nostri più grandi investitori”.

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