Gli ecosistemi della formazione e la riforma delle Academy ITS
Ragionare col modello dell’ecosistema della formazione, contro i pessimisti sul futuro dell’Istruzione Tecnologica Superiore.
Nell’ultimo scorcio del 2023, nelle aule e nei laboratori didattici di tutto il Paese entrerà qualche migliaio di “matricole” delle ITS Academy. Parliamo degli Istituti Tecnologici Superiori fondati nel precedente quinquennio e quelli appena costituiti. Con la differenza rispetto agli anni pioneristici che, a partire dal Governo Draghi, sul progetto dell’Istruzione Tecnologica Superiore sono confluiti cospicui finanziamenti. Forse è la volta buona. O forse no, come sembra suggerire un rapporto troppo pessimista sull’Istruzione professionalizzante in Italia e in Europa. presentato dalla Fondazione Agnelli alla Statale di Milano.
Titola il Corriere della Sera del 5 ottobre 2023: “Fondazione Agnelli: le (poche) luci e (tante) ombre della riforma degli ITS”. L’articolo di Orsola Riva non esita a partire da un’affermazione che suona come una diagnosi precoce e troppo pessimistica dell’economista Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli: «Gli Its restano delle monadi slegate tanto dalla scuola quanto dall’università». In realtà questo è solo uno dei sintomi e non emerge dall’articolo né l’entità della diffusione del sintomo, né una esatta definizione del problema, né una teoria sulla causa. Vengono invece proposte delle “cure” basate sul buon senso (legate, a nostro avviso, a cause non identificate con sufficiente evidenza) ma ne vengono sottolineati sin troppo i costi elevati e l’esiguità degli impatti raffrontati a modelli di riferimento virtuosi come quelli della Germania (in primis) e degli altri paesi europei.
Un po’come dire: “non illudiamoci, c’è poco da fare, il paziente è spacciato!”. Non sono d’accordo con questo pessimismo. I soldi in più sono necessari, ma non sono sufficenti se si comprano le medicine sbagliate o se si curano le cause sbagliate.
Ho già scritto sul tema basandomi sulla mia esperienza nell’avvio di un ITS e guidato dall’idea che non si era considerato abbastanza un modello “ecosistemico” della formazione. Sugli “ecosistemi della formazione” avevo avuto modo di ragionare e pubblicare col gruppo di lavoro che gravitava attorno al Bicocca Training and Development Center guidato da Raoul Nacamulli.
Il termine “ecosistema”, attualmente di moda e non sufficientemente spiegato, si riferisce a un nuovo modo di pensare ai problemi di coordinamento, interdipendenza, valutazione della performance e incentivazione dei diversi attori che producono valore, Un modello basato su complementarità e specializzazione nel creare componenti del sistema complessivo. Trovo insoddisfacenti (per scarso approfondimento del concetto) la maggioranza dei riferimenti “da convegno” e da frettoloso “rapporto” alla necessità di ecosistemi di business, ecosistemi di innovazione, ecosistemi di piattaforma.
In ogni “ecosistema” - e questo è importante anche per l'ecosistema in cui sono progettati gli ITS - emergono comportamenti basati sul trovare, da parte dei “fornitori” di “componenti” o “complementi”, benefici e sacrifici a stare attivamente nell’ecosistema, oppure a fare “free riding” o a uscirne.
Un ecosistema effettua una selezione naturale dei componenti e complementi utili anche grazie a delle regole di governance che tutelano l’obiettivo complessivo, la natura dell' outcome e l’impatto.
Questo è vero tanto negli ecosistemi di business (come, ad esempio, l’ecosistema Apple coi suoi sviluppatori di componenti e complementi), quanto negli ecosistemi dell’innovazione e nei business di piattaforma (come la piattaforma Barbie della Mattel).
Ripensare la formazione come un ecosistema significa tener conto della natura decentralizzata dei processi di sviluppo dell’offerta. Nella formazione, ad esempio, Microsoft ha una strategia chiara quando pian piano integra nel suo ecosistema chiuso Linkedin, la piattaforma TEAMS, il meglio dell’HR-Tech e l’intelligenza artificiale di Open AI. I tempi di implementazione e gli esiti della strategia di Microsoft non sono prevedibili.
Non si capisce dunque perché dovrebbero essere chiari i tempi e l’impatto della strategia per l’Istruzione Tecnologia Superiore. Che, tra l’altro, è basata su un ecosistema aperto e non chiuso come quello di Microsoft. La strategia serve per navigare nella complessità e l'incertezza.
Molti anni fa, nell’ambito della Business School Stoà in cui insegnavo, c’era stato un intenso lavoro sulla creazione di modelli (li avremmo chiamati poi “ecosistemici”) per la formazione in una “Learning Region”. Da quel lavoro erano scaturiti progetti che riguardavano un particolare distretto, quello aeronautico, in Campania. Da quel lavoro seminale era nata anche un’idea di progetto e di governance per una Fondazione ITS sulla Manifattura Meccanica in grado di soddisfare delle esigenze di nuove professionalità per le industrie dell’aerospazio e dell’automotive presenti nella regione. Progetto che oggi vorrebbe ricevere nuovo slancio dalle nuove risorse disponibili (anche grazie al PNRR). Soprattutto per la realizzazione di laboratori.
Vengo alle perplessità sul rapporto della Fondazione Agnelli che si concentra sullo scollamento delle Academy dalle scuole e dalle università. Non perché tale scollamento non si stia verificando ma perché la natura e l’entità del distacco è molto diversa per gli istituti scolastici e gli atenei.
Quali sono la value proposition e i meccanismi incentivanti per garantire l’impegno in un progetto ITS per una scuola o per una università (o meglio di un dipartimento universitario, o addirittura di una cattedra universitaria? (Perché, nelle esperienze raccolte, è quello il livello gerarchico di interlocuzione e di coinvolgimento di un ateneo in un progetto ITS).
La risposta è diversa per le due tipologie di attori, scuole e università. E nella mia esperienza il problema risiede soprattutto nella convenienza dell’ università a investire risorse e idee nel progetto. Non solo aderendo, ma anche contribuendo non episodicamante alla didattica, all'indirizzo scientifico, all'innovazione e alla crescita.
A dispetto degli incentivi a perseguire una terza o addirittura una quarta missione per gli atenei è infatti molto difficile che questi benefici siano sufficienti a motivare un soggetto complesso a stare in quella nicchia dell’ecosistema della formazione.
D’altra parte, anche nella vicenda delle lauree professionalizzanti (concorrenti in qualche modo degli ITS) la cosa non ha funzionato. Non vedo, tra le cure suggerite dal rapporto, una forma di incentivazione alle università ad occuparsi di Istruzione Tecnologica Superiore.
Restano altri due attori fondamentali nel modello: le imprese e gli organismi di formazione.
Anche nel caso delle imprese, il rischio che ciascuna impresa riduca al minimo indispensabile il proprio effort sul progetto dell’academy condivisa è molto alto. Per cui può accadere che un’impresa fondatrice di una ITS Academy preferisca investire nelle propria Academy e non in quella "shared" con altre imprese. E due cose assieme non si possono fare, come consiglia la strategia.
E qui spesso si invoca lo spirito comunitario tedesco propenso in maniera equilibrata alla Gesellschaft e alla Gemeinschaft. Con il classico bias di interpretazione nell’ affrontare dei problemi con una giustificazione antropologica (come quando, all’inzio degli anni 80 si diceva che solo i Giapponesi potevano fare il TQM).
Tra scuole, università e imprese c’è il ruolo svolto da un quarto attore.
E’ il ruolo di “integratore di sistema” che si caricano gli organismi di formazione, forse l’anello più debole della catena. Un soggetto che deve ingegnarsi a sopperire alla demotivazione degli altri partner.
Nella riforma della filiera educativa che porterà ad assegnare al biennio di formazione tecnologica superiore un ruolo importante (in temini quantitativi e qualitativi) sarebbe folle ignorare che l’anello che tiene oggi insieme i diversi attori è quello più debole. Perché si tratta di soggetti piccoli o piccolissimi, quasi sempre locali, con un elevato grado di specializzazione nel proprio segmento di attività ma che possono avere difficoltà e affanno a sopperire alle mancanze delle altre tre tipologie di attori. Soggetti che possono avere opportunità di crescita da questa tipologia di progetti che si inseriscono nel proprio portfolio di progetti di natura diversa.
A valle delle analisi svolte dalla Fondazione Agnelli in collaborazione con la Statale di Milano, vorrei sì, invitare a prendere sul serio le preoccupazioni circa il ritardo nello sviluppo della nuova filiera educativa che potrà portarci al passo con il resto dell’Europa, ma vorrei anche invitare a non essere apocalittici. Piuttosto suggerirei di utilizzare nuovi modelli di analisi e di progettazione. Modelli che, a nostro avviso, potrebbero discendere da una visione ecosistemica dell’istruzione e della formazione.
In qualche post precedente, citando pubblicazioni risalenti agli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, mostrai che il tema della “progettazione sistemica” dell’Istruzione Tecnica Superiore (ma anche della possibilità di lauree professionalizzanti) è vivo da oltre 60 anni. Con il perenne riferimento all’esempio tedesco e all’opportunismo italico antropologicamente incapace di “fare sistema”.
E’il momento di lasciare da parte vecchi stereotipi, mettere in campo nuove idee e non rammaricarsi delle risorse che saranno spese in questa direzione che è strategica.
Riferimenti citati
Raccolta di miei post precedenti su formazione post diploma e post laurea
Luoghi e non luoghi della formazione