L'unico, breve e inutile viaggio del Vasa

L'unico, breve e inutile viaggio del Vasa

L’antico vascello svedese a tre alberi ha un record difficilmente superabile: naufraga nelle acque del Baltico pochi minuti dopo il varo. Una tragedia per cui nessuno ha mai pagato

C’era la folla delle grandi occasioni, la mattina del 10 agosto 1682 al porto di Stoccolma: il “Regalskeppet Vasa”, un enorme vascello a tre alberi di 1200 tonnellate di stazza, lungo 69 metri e orgoglio della marina svedese, iniziava la sua avventura in mare. Ma il destino, quel giorno, era in vena di dispetti: le cronache raccontano di un forte vento improvviso, a cui il Vasa risponde reggendo anche se dopo aver oscillato pericolosamente, ma nulla riesce a fare contro la seconda, che finisce per piegarlo come fuscello: dagli sportelli dei cannoni, lasciati aperti per sparare alcune salve di saluto, nel giro di qualche istante l’acqua entra e prende possesso di ogni cosa.

In una manciata di minuti il Vasa affonda a poche centinaia di metri dal molo, davanti gli occhi increduli degli occhi di centinaia di persone attonite raccolte sulla banchina del molo, portandosi dietro almeno 30 dei 150 marinai a bordo.

Nessuno pagò mai per quella tragedia, né Henrik Hybertsson, l’ingegnere navale olandese che l’aveva progettato, né i 400 operai impegnati per due anni nella costruzione del vascello. E tantomeno re Gustav II Adolf, che a tutti i costi aveva preteso di aumentare il numero di cannoni a bordo portandoli a 64. Cercarono di spiegargli che il progetto prevedeva un carico massimo minore, ma il re, come tutti i sovrani in vena di capricci, non sentì ragioni.

Al contrario del “Titanic”, il transatlantico vittima del più celebre affondamento della storia, sul Vasa cala il silenzio, nessuno se ne occupa più almeno fino al 1956, quando Anders Franzén, un archeologo dilettante, riporta in superficie un pezzo di legno del vascello.

Servono cinque anni intensi di lavori, necessari per costruire un complesso sistema di sollevamento, prima di arrivare all’estate del 1961: dopo 333 anni passati sul fondo del mare, il Vasa è tornato in superficie, perfettamente intatto. La bassa salinità delle acque del Baltico e, per assurdo, la presenza di zolfo dovuto all’inquinamento, hanno protetto l’enorme vascello dall’erosione.

L'esterno del "Vasamuseet" di Stoccolma, inaugurato nel 1990

Dal 1961 al 1988 il Vasa è stato ospitato in una struttura creata appositamente e trattato con glicole polietilenico per non privare il legno della linfa che l’aveva conservato così a lungo. Nel 1981, il governo svedese indice un concorso per creare un museo, ed il progetto che convince di più – sui 384 ricevuti - è firmato da Marianne Dahlbäck e Göran Månsson: prevede un edificio dalla struttura ispirata al veliero stesso nei pressi del bacino di carenaggio del porto di Stoccolma. Il museo apre ufficialmente le porte il 15 giugno 1990, e da allora oltre un milione di persone hanno reso omaggio al Vasa e alla sua storia.

Il relitto rappresenta un documento di inestimabile valore che consente di capire tecniche, usanze e abitudini del XVII secolo. Insieme al vascello, sono tornati alla luce circa 14.000 oggetti fra sculture, suppellettili e ornamenti, compresi i resti dei marinai, i loro oggetti personali e sei vele che il Vasa non ebbe il tempo di spiegare, le più antiche al mondo.

Fra i tanti pezzi curiosi spiccano il grande leone che adornava la prua, tavoli da gioco, attrezzature mediche, stoviglie in stagno, cucchiai in legno, bottiglie di liquore sigillate e monete di rame. Ogni oggetto è stato trattato con cura, restaurato e restituito alla sua posizione originaria, per ridare al Vasa l’aspetto di reggia galleggiante. L’estrema delicatezza del relitto non consente di far salire a bordo i visitatori, ma sei diversi livelli permettono di ammirare il Vasa da ogni angolazione, mentre foto, documenti, postazioni multimediali e modellini raccontano la sua storia nel dettaglio, dalla costruzione al naufragio, fino al recupero. Forse la fase più gloriosa della breve vita del Vasa, raccontata nei dettagli in un filmato proiettato all’interno del teatro in 16 lingue diverse.

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