Attenzione all'attenzione

Attenzione all'attenzione

Seconda lezione di focus management per i project manager

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L’attenzione è una risorsa strana. La possiamo utilizzare consapevolmente ma fino a un certo punto: ha una sua indipendenza capricciosa. Possiamo indirizzarla volontariamente laddove ci serve ma ci può sfuggire e andarsene per conto suo. Come quando ci distraiamo, mentre vorremmo invece concentrarci su qualcosa. È probabile che, in questo momento, chi mi legge si sia distratto e debba tornare indietro di qualche riga. Poiché il testo è molto lungo vi capiterà spesso, ma vi comprendo: mantenere desta e focalizzata l’attenzione stanca.

La perdita di attenzione di chi mi ascolta mentre parlo, invece, è meno recuperabile, perché chi ascolta non può tornare indietro dopo che si è distratto. Indirizzare e mantenere l’attenzione costa un certo sforzo e ci stanchiamo presto. Per cui, dopo un po’, anche lo scrittore più bravo o l’oratore più eloquente, si deve rassegnare a un lettore o a un ascoltatore che perde l’attenzione. Oppure utilizzare degli espedienti attinti dalla retorica o dall’arte della narrazione.

Se chiedo al lettore di tornare ai due punti elenco del secondo capoverso ( - Managing e - Leading) il lettore potrà farlo per rifocalizzarsi sugli obiettivi del testo. I punti elenco sono artifici grafici per agganciare l’attenzione. Però potrei chiedergli di considerare il contenuto di tutto il primo paragrafo (Premessa) e in quel caso il titolo è l’aggancio. Il fascio di attenzione allora si allarga a comprendere qualcosa di più ampio. Abbiamo scoperto dunque che il fascio di attenzione non solo si può indirizzare, ma anche allargarsi o restringersi e che alcuni artifici, come check-list, matrici e tabelle, compresi quelli suggeriti dalle metodologie manageriali, possono essere utili ausili all’indirizzamento e alla focalizzazione.


Managing: o dell’attenzione del manager

Un manager non può distrarsi. È pagato per stare attento a quello che succede e per risolvere i problemi che si presentano ogni giorno. Henry Mintzberg si sofferma su quest’azione incessante e faticosa del manager. Quando un problema è risolto, ne spunta subito fuori un altro che dovrà essere risolto con un approccio diverso dal primo. Rimando in nota a una coppia di mei articoli che sintetizzano il lavoro manageriale in pratica, così come lo ha efficacemente descritto Mintzberg in un suo fortunato volume. Nel suo compito amministrativo è messa alla prova la capacità di cambiare in base alla situazione, accomodando il proprio punto di vista in profondità e in ampiezza, in lungo e in largo. Insomma, una questione di focalizzazione opportuna e adattiva per vedere il problema in modo multidimensionale. Qui Mintzberg cita lo scrittore Francis Scott Fitzgerald che scrisse: “Ciò che contraddistingue un’intelligenza di prim’ordine è la capacità di tenere in mente due idee opposte nello stesso momento e tuttavia conservare la capacità di funzionare”. Vale la pena riprendere quell’ “in lungo e in largo” che costituisce il campo di focalizzazione del manager. 

·        Profondità di riflessione (lentezza e pazienza) – tempestività di comprensione e decisione (velocità e impulso)

·        Analisi (fare breakdown) – Sintesi (ricondurre all’unità)

·        Accentramento – Delega

·        Basarsi sulla misura dei fenomeni – sapersela cavare con le cose non misurate e non misurabili

·        Operare per ordine, completezza e perfezione – convivere con il disordine, l’incompletezza, l’imperfezione.

·        Stabilizzare (continuità) – Cambiare (innovazione)

Possiamo mettere su un diagramma l’identi-kit di due manager immaginari (A e B) che hanno stili diversi (dove la linea può rappresentare il focus prevalente di ciascuno di loro.

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Un manager che tenda a mantenersi costantemente vicino alla linea del profilo che rappresenta il suo stile e le sue abitudini gestionali prevalenti sarebbe poco adattivo.

Potremmo suggerire una maggiore e più rapida reattività al manager A che tende piuttosto ad essere eccessivamente guidato dal desiderio di pianificare tutto. In altre parole, potremmo chiedere al manager A di essere un po’ più “sveglio” e attento ai dettagli e agli imprevisti. A lui dovremmo chiedere maggiore agilità: rivedere velocemente i piani in base alla situazione, smarcarsi dagli standard.

Potremmo invece suggerire una maggiore pianificazione al manager B che tende piuttosto ad essere troppo reattivo, impulsivo e situazionale. Insomma, potremmo chiedere al manager B di darsi una calmata, di essere più riflessivo e di guardare un po’l’insieme e i tempi lunghi con cui le cose si muovono e con cui a un’azione corrisponde una reazione. A lui dovremmo chiedere più stabilità: pianificare e curare l’esecuzione dei piani, dedicarsi alla standardizzazione.

Il risultato di una sviluppata capacità di pensare tra agilità e stabilità, a destra, a sinistra o al centro della scala sarebbe un manager adattivo, in grado di adeguarsi alle diverse situazioni gestionali e ai problemi che si presentano con caratteristiche sempre diverse.

Con una metafora orchestrale, potremmo avere da una parte un compositore e direttore d’orchestra, che ha scritto magistralmente tutta la partitura e ha predisposto accuratamente l’esecuzione, dall’altra il leader di una jazz band, maestro dell’improvvisazione di gruppo.

Con una seconda metafora, di tipo “filosofico”, diremmo di avere da una parte una manager A “strutturalista” che si ritiene in grado (per un pizzico di presunzione) di conoscere la struttura stabile sottesa alla realtà, compresi certi “universali”, e di sapere come, alla lunga, “vanno le cose”, dall’altra un manager B “post-strutturalista”, situazionista ed evenemenziale che presume invece di saper convivere con la decostruzione e sapersi destreggiare con l’imprevisto, il contingente, il particolare.

Possiamo evidenziare con un’area, invece che con una linea, il campo di focalizzazione di un manager adattivo (o ambidestro) che è quello che serve davvero ad un’impresa. Un campo profondo che, in modo situazionale e legato al contesto, viene continuamente esplorato dal manager, accomodando il focus della sua attenzione e l’approccio al contesto e alle necessità delle diverse fasi dei processi di pianificazione, esecuzione e controllo.

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Con questa rappresentazione grafica stilizzata, un fuoriclasse del management sarebbe in grado di coprire ogni zona del campo, grazie alla sua capacità di accomodare il proprio punto di vista alle esigenze del progetto in ogni momento. Purtroppo, come ha detto spesso Drucker, non si possono avere sempre fuoriclasse e bisogna farsi supportare dai classici strumenti del management o dal PMBoK per forzare le abitudini e gli stili idiosincratici dei diversi manager, aiutandoli a sbagliare il meno possibile.

A dettare il “movimento” del focus del manager, sono spesso dei tratti caratteriali innati, come l’essere di natura ansioso o rilassato, disordinato o ordinato, essere orientato al risultato o al processo, eccetera. Ma sono ancora più determinanti alcuni aspetti della cultura organizzativa e di comportamenti e abitudini, spesso pessimi, dei propri superiori, stakeholder, partner, clienti e fornitori interni o esterni. Capire – usando il costrutto del “focus” - il “carattere” di un manager è essenziale per l’organizzazione, sapendo che può essere, ad esempio, un inguaribile accentratore, un pianificatore o un improvvisatore. Con la benevolenza di pensare che un cattivo carattere è pur sempre un carattere. 

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