Adattarsi al nuovo scenario post pandemia
Non è facile fare il punto della situazione al rientro dalla "pausa" estiva in questo annus horribilis 2020, da nessuna angolazione, tantomeno quella finanziaria. Possiamo contare ogni giorno il numero di contagiati ma nessuno può dire con sicurezza se e come riusciremo a gestirne un'eventuale escalation e che ripercussione questa nostra potenza o impotenza avrà sull’economia globale e quindi sulla finanza.
L’unica certezza è che questa imprevista e terribile pandemia ha sgretolato tantissime di quelle sicurezze sulle quali si reggeva la nostra società. Quelle relative al progresso tecnologico e scientifico, ad esempio. O su un certo sistema di crescita economico-finanziaria spinto dalla globalizzazione che dal dopoguerra a oggi ha fatto nascere nuovi modelli imprenditoriali e trasformato paesi, città, società e abitudini di consumo. Questa incertezza è palpabile sui listini globali: negli Usa, per dirne uno, due settimane fa gli investitori hanno venduto i titoli delle società tech, finora considerati investimenti sicuri, provocando un tonfo del 6% sul Nasdaq.
In questo vuoto pandemico, ci sono alcuni aspetti che oggi stanno emergendo e con i quali il mondo della finanza deve fare i conti. Perché per quanto destabilizzanti nel breve, potrebbero rappresentare, nel lungo, le direttrici per lo sviluppo futuro di diversi business.
Uno di questi è il superamento di alcuni assunti finanziari, fra cui l’inflazione. Nel suo discorso virtuale alla conferenza di Jackson Hole, il numero uno della Federal Reserve, Jerome Powell, ha chiaramente esplicitato che l’obiettivo principale della banca centrale è il lavoro, mettendo in secondo piano quello che finora, soprattutto dopo la crisi del 2008, era stato il fulcro dell’attività dell’istituzione, cioè il contenimento dell’inflazione mai sopra al 2%. "Fintanto che la disoccupazione non sarà rientrata ai minimi storici pre-Covid, l’inflazione non sarà una preoccupazione", ha detto il numero uno della Fed. Questo atteggiamento, che per molti non lascerà indifferente la Banca centrale europea, influirà inevitabilmente sui tassi e quindi sui mercati.
Lo scopo di Powell, si è detto, è favorire il lavoro. Il mantenimento dell'occupazione è diventato il cuore dell’attività istituzionale a più livelli e con esso sta crescendo l’attenzione verso tutto ciò che è sociale e ambientale. Di Esg negli ambienti finanziari si parla ormai da un paio di anni con effetti più o meno concreti nella quotidianità dei vari player finanziari (nella maggior parte dei casi è più marketing che altro) ma se continua cosi questa tendenza è destinata - nel medio-lungo periodo - a influenzare sensibilmente le varie scelte d’investimento e le strategie aziendali, volenti o nolenti che siano i vari soggetti coinvolti.
Un altro aspetto interessante è la de-urbanizzazione. L’attivazione del telelavoro (e non smart working, che è un’altra cosa) da parte delle aziende durante e dopo il lockdown ha provocato una "fuga" dalle grandi città. Milano, per ciò che riguarda l’Italia, ma anche Londra, ad esempio, dove solo il 20% dei lavoratori è tornato in ufficio lasciando la City deserta. E nel nostro paese c’è già chi grida al boom del ribattezzato "south working", cioè un ritorno alle regioni del Centro - Sud da parte di chi sceglierà il telelavoro come modalità di impiego definitiva e permanente. Condivisibile o meno questa prospettiva, di certo il mondo del lavoro subirà dei cambiamenti e con esso la composizione immobiliare e commerciale delle grandi e piccole città.
In tutto questo, stanno acquisendo centralità le infrastrutture, una leva potente per la ripresa delle economie: lo erano dopo le guerre, perché tutto era stato raso al suolo e andava ricostruito, e lo sono ora, perché servono a soddisfare la forte esigenza di una connessione veloce e disponibile su tutto il territorio.
Infrastrutture significa opportunità di business. E significa Stato. In Italia, come abbiamo visto in questi mesi, le istituzioni e il pubblico sono diventati attori protagonisti delle partite finanziarie che contano. A ben vedere anche nel resto d’Europa i progetti più importanti vedono una presenza più o meno preminente dello Stato. Il pubblico, nella Penisola soprattutto, si sta imponendo come regista dei grandi e piccoli progetti, dei salvataggi delle aziende, delle operazioni di aggregazioni. È troppo invasivo? È giusto così? A prescindere da come la si pensi e da quello che sarà il colore politico dei prossimi governi, non è così fuori dal mondo immaginare un futuro in cui ci saranno più collaborazioni tra pubblico e privato.
Fare propri questi trend può essere utile per cercare di superare la complessità del momento e per inquadrare quello che sarà lo scenario post Covid-19, profondamente diverso da quello a cui siamo stati abituati finora.